Viaggiare.

Viaggiare.

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Il viaggio assomiglia alla vita e il viaggiare ne è la sua narrazione. Parola dolce, il viaggio, contiene il termine “via” che non ha indicazione geografica precisa, ma rimanda al latino “viaticum” che è invece ciò che serve per andare, per partire e iniziare un viaggio anche senza una meta precisa.

Perché non è l’obiettivo del viaggio che determina il viaggiare umano in quanto l’uomo si muove secondo una geografia esterna, quella del nomade che ricerca territori dove abitare anche in modo provvisorio o temporaneo. Il viaggio è l’esistenza stessa. Poi c’è la dimensione interna che spinge all’esplorazione del mondo interiore e alla ricerca di quel “Sé” che fa parte della propria anima.

Per questo il viaggiare va oltre l’abituale connotazione turistica comune al mondo occidentale e il viaggio ha aspetti diversi e più tipologie di viaggiatori.

Storicamente il nomadismo umano è l’aspetto più evidente ma ai nostri giorni quel viaggio è spesso la risposta drammatica al conflitto e all’oltraggio della devastazione. È la storia della speranza e della ricerca di libertà annientata dei migranti, la cui sofferenza è memoria e grida. E’ fuga dall’inferno, ipotesi di salvezza purtroppo non sempre liberatoria, ma tragedia o esperienza vuota di solidarietà.

E poi c’è il viaggio come crescita e sviluppo. È il percorso umano alla ricerca e di una nuova dimensione quella che anticamente era rappresentata dal pellegrinaggio. Un percorso che nasce dal desiderio di sviluppo e purificazione e dal bisogno di espiazione. Sospinti dalla fede (non importa quale) i pellegrini cercano di avvicinarsi al sacro, alla ricerca di un legame intimo e recondito tra l’uomo e il divino.

Poi nel viaggiare c’è la memoria ancestrale che si attiva. Lo psicoanalista inglese John Bolwby, diceva che il viaggio permette di rievocare a livello inconscio l’esperienza antica dei neonati che fin dalla preistoria viaggiavano sulle spalle dei genitori. Accade ancora oggi tra le popolazioni del continente africano dove le donne di abitudine si portano in giro appesi alle spalle i loro piccoli. È proprio quel “ricordo” di dondolio ritmico che, secondo Bolwby, tranquillizza i piccoli e cullandoli, arresta il loro pianto.

Infine nel viaggiare c’è lo sforzo fisico.

Ciò che fa spostare è la fatica che attraversa ogni cammino importante basti pensare al Cammino di Compostela che, tra le altre cose, è metafora dell’allontanamento dalle proprie certezze e dai propri luoghi. Fatica e resistenza attraversano i grandi movimenti dello spirito e sono solo apparentemente fisici. Perché l’esercizio è soprattutto interno.

Di fatto il viaggio è il cammino della coscienza che ci porta alla scoperta di territori nuovi e analogamente ai miti e alle narrazioni come l’Odissea o l’Eneide, è lo strumento che serve per attivare o esprimere l’archetipo dell’esploratore con il quale possiamo andare alla ricerca di senso all’esistenza.

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