Lettera aperta ai professori da parte di don Antonio Mazzi che da oggi ci accompagnerà con i suoi pensieri e le sue sferzanti parole di prete “senza peli sulla lingua”
Insegnanti carissimi, tutti sono autorizzati a dire di tutto su voi. Il lunedì paragonandovi agli infermieri eroici del Coronavirus, per catalogarvi, il mercoledì, tra i “deboli” o gli interessati, abbandonando un dieci per cento di incoscienti, in trincea, con la coda dei genitori che dai vetri salutano piangendo. Vogliamo lasciar chiacchierare questa comica categoria di gente e trasformare questo disordine, creato da una maledizione mondiale assurda e da una ignoranza politica vergognosa, per tirar fuori quel frammento di adolescenza che in qualche angolo del vostro carattere sta sonnecchiando? Vi ricordate quando noi, andando verso la scuola, speravamo sempre che qualcosa accadesse, per evitarci la nausea che portavamo chiusa dentro la cartella? Adesso, forse, ci è caduto addosso qualcosa di più che qualcosa. Però, e qui non recito ma invito, dovete credere che questo qualcosa ha stravolto totalmente la nostra esistenza. E voi, da sopportati, siete divenuti più indispensabili della famiglia. Tirate fuori il coraggio, la voglia di sorridere e di far sorridere. Disobbedite alla don Milani, e usate i programmi per far capire ai ragazzi che non sono a scuola, ma che stanno prendendo la patente per guidare le strade del futuro. Domani non sarà un cambio di luoghi, di mestieri e di circostanze, ma un punto di vista sempre nuovo sulla realtà. Urgono “ricostituenti” robusti. I ragazzi non hanno paura nè di apprendere il teorema di Pitagora, né di assorbire seriamente le emozioni che voi sapete suscitare. In loro non esiste il cinismo, perché storia, sentimenti, emozioni, speranze fanno parte del loro vocabolario. Una volta, in momenti come questi, parlavamo di arrivare all’anima. Secondo Galimberti, invece, il nostro corpo legge lo spazio non come una dimensione geometrica, ma come un vissuto globale. Per cui, il tempo del nostro corpo varia a seconda che lo si viva come noia o come attesa, o come progetto che non sono figure dell’anima, ma modalità con le quali il nostro corpo si relaziona al mondo circostante. Immaginate i vostri ragazzi, quando voi in piedi, e loro attorno, che mettono dentro quel posto che noi chiamavamo anima, le vostre lezioni di vita. Ieri quasi mai succedevano queste cose, perché dovevate spiegare le materie! E per chiudere, rubo ad Hegel la definizione di eroe: “E’ colui il quale quand’anche sia stato privato di tutto, non ha mai perso se stesso”. Ci siamo?
Prendete la borsa e… andate!