È un rischio, quello della morte, presente in ogni sfida e gli adolescenti lo sanno anche se lo snobbano. Ma la challenge rimane una gara che affronti per qualificarti e ti riconosce un titolo o ti dà un trofeo. Se la superi sei incoronato, altrimenti sei un fallito.
Ed è questo il senso prevalente nelle challenge giovanili e che l’universo virtuale promuove: dà la misura dello sforzo da compiere che la rete premia immediatamente.
Così ogni challenge è estrema, eccessiva, fuori dal comune, a cui i social danno megafono. Più va oltre e più diventa virale, contagiosa e fuor di controllo, emulativa. In essa prevale l’impulsività senza un pensiero critico che la preceda o la segua. Il gruppo della Lamborghini romana lo conferma: una sfida insensata che diventa morte e non incidente, che rende colpevoli e non supereroi.
Ma rimane esperienza adolescenziale, forse promossa dalla noia e dal vuoto pneumatico che accompagna le vite in un’età lunga che inizia prima e finisce tardi. Connessa al bisogno tutto giovanile di attraversare un confine e andare oltre le Colonne d’Ercole, è gesto coraggioso e pericoloso che però, ogni generazione ha sentito e rincorso.
Oggi è la risposta al dolente interrogativo del “Chi sono io?” che non arriva da nessuna parte quando non sai più riconoscerti allo specchio e ti sembra che nessuno ti confermi. Allora cerchi trofei diversi che siano in sintonia con quella adrenalina che pulsa ovunque nel corpo in trasformazione e elettrizza una mente per nulla critica.
A quel punto e per i social che sono la piazza più importante dove esibirsi, conta solo la visibilità che ti sei guadagnato con gesta spavalde e sconsiderate. Conta il premio dei follower che ti proclamano “figo”.
Forse, e purtroppo per lo stesso motivo, contano anche le critiche violente e gli insulti che si è visto piovono dagli adulti e dai pari sul fallito e sul fallimento. Anche questo alla fine è un riconoscimento di popolarità. Se la challenge è un mettersi alla prova che ti fa sentire il brivido dell’incertezza, è anche voglia acuta di uscire dalla confusione e dalla fragilità quando in quell’età si scopre la perduta onnipotenza infantile ed è il tentativo estremo per salvarsi dalla paura del futuro e dalla solitudine.
Non è una giustificazione del gruppo “Theborderline” che già col nome ti dice chi sono e dove sta quel loro mondo interno, forse sempre sul confine. È invece un cercare il leitmotiv che domina queste imprese.
Di certo c’è il piacere del rischio come lo chiamo io o più ancora il “fascino” come dice Silvia Bonino, osservatrice attenta dell’adolescenza (Il fascino del rischio negli adolescenti, Giunti).
Saperlo conta, perché gli adulti hanno il dovere di prestare attenzione ai figli e proteggerli senza giustificarli dicendo che “è stata una bravata”, ma devono sapere che i loro “bolidi”, non sono solo quelli presi a prestito per la challenge di turno, sono i loro corpi senza freni, incapaci di arrestarsi quando sono in corsa.
Ce lo dicono le neuroscienze: ad essi manca ancora il funzionamento delle aree cerebrali preposte all’autocontrollo. Ma poi, purtroppo, mancano anche gli adulti che non sanno attrezzarli a pensare con la loro testa e dare loro un confine!