Come ti erudisco il pupo
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Oronzo E. Marginati, pseudonimo di  Luigi Locatelli,  Come ti erudisco il pupo,

Roma, Il Travaso delle Idee, 1915.

Da questo libro che ebbe una buona diffusione nelle case italiane nel primo
dopoguerra ho preso non solo il titolo degli Appunti di oggi ma anche spunto
per riferirvi – in forma non così divertente come avrebbe fatto Locatelli –
un esempio di quella che l’autore chiamava “Conferenza paterno-filosofica ad
uso dell’infanzia e degli adulti”.       

Il libro è stato ripubblicato da Garzanti nel 1972 con la prefazione di
Marcello Marchesi che considerava Locatelli uno dei suoi maestri spirituali.
Avevo non più di tredici anni quando mio padre mi consigliò di leggerlo non
solo per divertimento ma anche per capire il mondo del sottobosco dei
ministeri romani in cui Oronzo trascorre una vita  stentata da onesto e
retto “mezzemaniche”. Della sua famiglia fanno parte sua moglie Terresina
(sic) e suo figlio Filippo Oronzo, così chiamato in onore del Sor Filippo,
pensionato che vive nella loro casa contribuendo a rimpolpare le magre
finanze familiari.


Oronzo è fiero di essere un uomo qualunque e si scaglia contro tutti i
superomisti, i Futuristi e soprattutto contro  D’Annunzio che detesta perché
idolatrato da Terresina, pericolosamente incline a  diventare superdonna per
amore del Vate. Oronzo, da parte sua,  cerca in ogni modo di migliorarsi con
qualche incursione temeraria nel mondo della cultura e, soprattutto,
perfezionando il suo eloquio. Il suo sforzo di ripulire la parlata romanesca
natia produce una ridicola lingua ibrida che è fonte di ilarità per il
lettore di ogni parte d’Italia.

In politica Oronzo è appunto un uomo qualunque che oggi diremmo di destra
moderata.  È  patriottico, rispettoso della legge, stranamente ama Garibaldi
che considera un vero uomo qualunque coraggioso e senza peli sulla lingua,
teme i guerrafondai come il Kaiser Guglielmo e i sindacalisti perché li
ritiene dediti soltanto ai propri interessi e non a quelli del proletariato.
Il proletariato è il suo incubo perché è una condizione nella quale teme di
sprofondare un giorno o l’altro.


Insomma, se volete, procuratevi il libro, leggetelo e fatemi sapere se dopo
oltre un secolo ha perso del tutto di attualità e ha mantenuto la carica
comica e umoristica.
Anche mio padre, benché non fosse e non si considerasse un “uomo
qualunque”, non disdegnava di somministrare qualche “conferenza
paterno-filosofica” a erudizione mia e di mio fratello, i suoi due “pupi”.
Lo faceva però in forma indiretta, seguendo l’invito di Alexander Pope:
“Bisogna insegnare agli uomini avendo l’aria di non insegnare affatto,
proponendo loro cose che non sanno come se le avessero soltanto dimenticate”
Vi ricostruisco solo una di queste “conferenze” sperando che, cambiando
quello che c’è da cambiare, incontri il vostro interesse.

Il treno
Ho dieci anni, Sono alla stazione con mio padre in attesa di qualcuno che
non ricordo. Ci sediamo su un sedile lungo la banchina. Sul binario opposto
a quello dove arriverà il nostro treno ce n’è un altro in attesa di partire.
Dico a mio padre: 
“Speriamo che il treno arrivi presto perché io non ho ancora fatto il tema per domani”.

“Che tema?”

“Parte il treno. Pensieri”.

“Ancora questi temi continuano a dare?” [non poteva immaginare che settant’anni dopo c’è ancora qualche insegnante che continua a darli].

“Per me è la prima volta. Mi dai una mano? Così a casa scrivo quello che ricordo e faccio bella figura”.

[dopo un breve silenzio]

“Ce la puoi fare da solo, la fantasia non ti manca.. però…visto che qui facciamo tardi, inventiamoci qualcosa”

“Non mi viene in mente niente”.

“Guarda questo treno in sosta. Quante classi ci sono?”

 “Tre”. “Prima, seconda e terza” [allora le cose andavano così]

“Noi in che classe viaggiamo di solito?”

 “Seconda, perché mamma dice che la prima costa troppo”.

“Giusto, in prima di solito viaggia chi ha più soldi di noi, ma non è tranquillo perché pensa che se un giorno non avrà più soldi gli toccherà viaggiare in seconda o forse addirittura in terza”.

 “Perché? La terza è così brutta?”

 “C’è il minimo indispensabile perché ci viaggia di solito chi ha meno soldi anche se fa lavori duri ma utili per tutti noi,
operai, contadini eccetera”.

“E sono tristi?”

 “Beh, da una parte sono arrabbiati perché non trovano giusto viaggiare così con la fatica che fanno, dall’altra sperano che un giorno viaggeranno anche loro in seconda e perfino in prima”.

 “Allora stiamo meglio noi in seconda?”

 “No, perché da una parte speriamo un giorno di viaggiare. in prima, dall’altra abbiamo paura di essere costretti un giorno a prendere la terza”. [l’incubo di Oronzo E. Marginati]

 “Allora nessuno è tranquillo”

“No, nessuno è tranquillo anche se riesce a non darlo a vedere”.

 “E io che scrivo sul tema”

“Tu che dici?”

 “Che ci vorrebbe la classe unica bella e comoda per tutti”.[ride]

“Buona idea ma mi sembra un sogno, no? Tutti assieme ricchi e poveri?”

“ È un pensiero, come chiede il maestro, no? Tutti un po’ meno ricchi e un po’ meno poveri”.

 “Mah, non so come la prenderà il maestro. Dirà che non è farina del tuo sacco o che hai strane idee in testa o che hai la bacchetta magica per cambiare le cose”.

 “No, è buono con me e poi è molto religioso. Finisco il tema dicendo che Gesù vorrebbe la classe unica e lui sarà contento. Sicuro”

“Che furbetto che sei, Comunque non credo che la soluzione del vagone unico assicuri un viaggio pacifico. Riusciamo a battibeccare e a infastidirci tra noi anche in prima, seconda e terza, figurati se ci mettono tutti insieme.”,

“Basta chiamare il capotreno”.


“Lo sapevo che andava a finire che dobbiamo chiamare il castigamatti per stare buoni![ride] Ecco, aggiungi un altro pensiero: nel vagone unico il castigamatti, il controllore, viene nominato dalla maggioranza dei passeggeri prima di ogni viaggio. Che ne dici?”


“Troppo complicato, papà, si vede che non è roba mia, meglio che chiudo il
tema con Gesù che fa il miracolo del viaggio in pace sul vagone unico”.


Non ricordo che voto ho preso per il “mio” tema. Sono però convinto che mio padre abbia approfittato della sosta alla stazione per rifilarmi un messaggio “paterno-filosofico” sulla sottile distinzione tra lotta di classe e lotta per la classe, messaggio che soltanto molti anni dopo, ormai non più “pupo”, avrei – forse – capito.

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