Non si tratta sempre di un disturbo psichico, ma la parola narcisismo rimanda certamente a una sofferenza che può essere anche profonda. Il termine viene dal mito greco di Narciso, il bellissimo giovane che secondo la narrazione di Ovidio è condannato dagli dei a non innamorarsi di nessuno ma solo di se stesso, fino al punto di morirne.
Per una certa dose e prima della patologia, vi è un narcisismo sano o per meglio dire utile, che è cura di se stessi e del proprio aspetto, preoccupazione per la propria realizzazione e stima di sé.
Diventa però un aspetto patologico quando il narcisismo è un’immagine interiore “gonfiata” e grandiosa che impedisce di vedere gli altri perché quella visione eccessiva del proprio modo di essere non consente di relazionarsi con il mondo e, men che meno, di provare trasporto e empatia verso gli altri.

Se questo vale in tutte le età della vita, in adolescenza è ancora più significativo in quanto disagio vero e proprio che invece di aiutare l’adolescente nel momento in cui deve assolvere i suoi compiti evolutivi, è fonte di grande sofferenza soprattutto se la centratura narcisisitica diventa ossessione per il potere e per il successo o necessità di apprezzamento altrui e indifferenza per le relazioni.
In “una società di apparenza e narcisismo” come dice papa Francesco, si cresce con poche esperienze di frustrazione che, peraltro, l’ambiente familiare tende a neutralizzare in quanto teme gli incidenti di percorso come possono essere un risultato negativo a scuola o una prestazione scadente nello sport e, più ancora, ogni possibile fallimento.
La famiglia affettiva, meno prescrittiva di un tempo, del resto punta tutto al benessere e alla realizzazione personale dei figli, al successo e alla loro felicità. In questo modo fa sì che l’adolescente piuttosto che trasgredire le indicazioni dei genitori, sia più orientato a non farli star male, a nascondere la sua inadeguatezza e la personale sofferenza, a volte anche ritirandosi dalla società.
Di solito allora si diventa grandi con l’esaltazione delle potenzialità individuali e con la realizzazione di competenze ai massimi livelli che, alla lunga, producono fatica e intolleranza verso ostacoli e limiti o rendono i figli insoddisfatti per le loro inadeguatezze e per non essere all’altezza delle aspettative genitoriali.
Ad alimentare poi il narcisismo giovanile c’è la spettacolarizzazione dell’esistenza in tutte le sue forme. È quel bisogno acuto di visibilità che passa attraverso l’esibizione dei propri gesti, positivi o negativi da lasciare a imperitura memoria e che non di rado hanno a che fare con un surplus di premi ed elogi genitoriali volti a far sentire i figli “speciali” o dotati di qualità superiori. Ma è narcisistica in adolescenza anche la comune tendenza a mostrarsi agli altri con infiniti selfie che da una parte appare come necessità di seguire i cambiamenti fisici e integrare la propria immagine corporea così mutevole, mentre dall’altra è espressione di quei bisogni di adulazione e ammirazione che sembrano essere di sostegno alla propria immagine di grandiosità.