La scuola che verrà. Tra attese e speranze
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Sembrerà una ripetizione, ma insistere a parlare della scuola che riapre i cancelli è doveroso. Perché l’attività scolastica che riprende vede in campo una quantità di aspettative. Ci sono quelle di chi vive nella scuola, i docenti, e quelle della famiglia. Ma prima di tutto ci sono le attese dei veri protagonisti, i bambini e gli adolescenti.

Un esercito, insomma, di esperienze umane che si aspetta qualcosa dalla scuola e, a vario titolo, crede necessaria una rinnovata dimensione. Magari una prospettiva diversa che sappia ridare spazio alla fiducia, così fratturata dalla pandemia la quale, oltre al contagio, ha aggiunto una globale insicurezza. Forse c’è anche chi, a giusto titolo, si aspetta salvezza.

Il mondo può essere salvato solo dal soffio della scuola” dice il Talmud, sacro testo ebraico.

Gli occhi allora puntati sulla scuola, sono il segno di un mondo che chiede a questa istituzione un orizzonte più lontano da inseguire e un vitale mutamento. Perché essa stessa, per antonomasia, è il luogo dei cambiamenti e delle trasformazioni.

Se riflettiamo, il tempo scolastico quello scandito non tanto dai minuti e dalle ore, quanto dai mesi e dagli anni che si trascorrono dentro gli edifici che formano gli uomini, non è altro che il tempo delle evoluzioni. Si cresce con gli insegnamenti e le materie, ma ancora di più si diventa grandi con le relazioni e le risposte che si traggono da queste esperienze.  Si entra nelle aule come bambini e si esce adolescenti e poi giovani adulti, pronti per cominciare ad incontrare il mondo. Almeno così dovrebbe essere.

È a scuola che si annotano le evoluzioni e si contano le mutazioni fisiche. In quello spazio che si compone di verifiche e di prove da superare, magari di inciampi e fallimenti che non dovrebbero essere temuti da nessuno, men che meno dagli adulti ansiosi e iperprotettivi, si registrano le nuove inclinazioni e le necessarie passioni, le idee sul mondo e i progetti per vita. Nei corridoi e nei cortili, ma più ancora nei percorsi che ogni giorno si fanno per andare e tornare da scuola, si sviluppano le prospettive e prende forma il futuro, cresce l’eros e la sessualità. Grazie a tutto questo, l’adolescenza, tempo cruciale dell’esistenza, è il momento lungo dei cambiamenti che servono per riformulare la visione del mondo. Continuamente.

È questa la funzione della scuola, allora. Quella che aiuta chi deve crescere a costruire il tempo della propria esistenza e individuare il percorso del viaggio da intraprendere o immaginare le rotte da tracciare. A guardarla con attenzione, anche a partire dalla propria dimensione personale, è proprio a scuola che, senza esserne consapevoli, abbiamo fatto un po’ tutti le prime esperienze relazionali e affettive. Tra quelle mura, non sono stati gli esercizi di matematica a farci diventare chi siamo, quanto le esercitazioni di relazione con gli altri che abbiamo potuto vivere.


Questa è la scuola che dovremmo aspettarci. La scuola autorevole che permette di sperimentare la crescita valorizzando la cooperazione e contenendo la competizione smisurata di una società poco tarata sull’ascolto individuale e altrui. Una scuola affettiva dove i docenti sanno entrare nell’impianto emozionale degli allievi e sanno affascinarli senza plagiarli. Una scuola dell’educazione e non solo dell’istruzione, che aiuta gli studenti a passare dalla pulsionalità al mondo delle emozioni, se non vogliamo far crescere una schiera di bulli incapaci di empatia e compassione. La scuola dove si lavora per dare un nome e un senso alla sofferenza e non si evita di trattare del dolore, quello personale e degli altri.


È questa la scuola rinnovata che riaprirà in questi giorni e che saprà combinare distanze di sicurezza con nuove vicinanze? Ce lo auguriamo.

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