La tristezza
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C’è in questi giorni una diffusa e collettiva tristezza arrivata improvvisa, per certi versi inattesa con la scomparsa di Francesco, il papa.

Ci è giunta addosso come una meteora, ed è augurabile che la tristezza in quanto melanconia benigna, e non depressione, ci aiuti a dare un senso alla vita e agli accadimenti.

La tristezza appunto è un sentire intimo che affiora con sofferenza da uno stato profondo di vuoto. Appartiene alla dimensione della perdita e si coniuga immediatamente con il dolore tipico del lutto. Il sentimento è connesso all’abbandono di una persona cui siamo stati legati e porta a risaltare il contrasto tra un passato felice e un presente doloroso.

La sensazione è quella di sentirsi come transitare dalla luce all’ombra o all’oscurità totale, dove quasi per compensazione, c’è il desiderio intenso e immediato di ricomporre il benessere perduto.

Un bisogno frettoloso di liberarsi della sofferenza che alberga nelle retrovie della mente ma che non sempre fa muovere in avanti chi è addolorato e triste.

La tristezza la percepiamo allora come energia bloccata che inchioda in una palude malsana e affievolisce la fiducia nel futuro. Sembra arresti la speranza, ovvero il carburante necessario al cammino quotidiano e per la costruzione del giorno che viene.

Quella melanconia è vero che ci frena e ci spinge a restare nel passato, lontani da strade nuove da percorrere. Ci isola dentro uno scenario povero di rapporti, dove prevalgono le luci basse e i toni sbiaditi, a volte cupi o spenti del tutto.

sad man hug his knee and cry sitting alone in a dark room. Depression, unhappy, stressed and anxiety disorder concept

Però è anche un paravento che mette al riparo dal rumore e offre quel necessario raccoglimento attorno al dolore che richiede silenzio. Serve, anzi è necessaria per elaborare la perdita e ascoltare quelle risonanze interne che chiedono di appartarci temporaneamente dalla vita, ma senza perdere il contatto col Tu e col Noi.

La tristezza così è emozione fondamentale che ci mette in collegamento con le nostre parti più introspettive e ci fa frenare la rincorsa all’ happyness, a quella felicità che sogniamo.

Una tensione quest’ultima che uccide come diceva il Freud pessimista e, non di rado, annienta la capacità di leggere la realtà sempre più complessa e ambivalente, che ci attornia, variegata e di mille sfumature sottili.

L’immediata sostituzione della tristezza rischia di trasformarci da individui pensanti, benchè sofferenti, in consumatori o cercatori di pepite d’oro. Liberarsene in fretta, è un pericolo.

Il rischio è di non darsi il tempo per trasformare il dolore e impone al nostro “IO interno” di vivere come in un “Centro commerciale” dove è possibile afferrare e comprare tutto, negare la sofferenza, evitare il dubbio, non dover aspettare e non invecchiare.

Invece ci serve ascoltare la tristezza che è segnale di mancanze interiori e ci chiede raccoglimento, riflessione per ritrovare il senso di ciò che accade.

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