Moda, il viaggio dalla tradizione all’innovazione
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 Un’amica mi ha invitato a leggere tre magnifici volumi: Moda&Mode, tradizioni e innovazione (secoli XI – XXI), che hanno come sottotitoli I linguaggi, La sostenibilità, La società.Gli autori sono 79 docenti e ricercatori dell’Università di Salerno e di altre Università ed alcuni esperti. La casa editrice è la FrancoAngeli.

Il primo volume comprende i linguaggi, cioè il rapporto fra la moda e i contesti, le rappresentazioni, la letteratura che la racconta, sostenendola o contrastandola, il rapporto fra costumi e messa in scena degli attori,  su un palcoscenico
o sul grande schermo. La moda in questo senso è un meta-discorso, perché gioca un ruolo tanto importante da condizionare  profondamente l’immaginario collettivo. La moda e le mode hanno molto da insegnarci sul ruolo delle persone nelle diverse società, inclusi i ruoli di genere e la costruzione del maschile e del femminile. Su quest’ultimo punto, gli autori che si occupano di studi di genere hanno realizzato un notevole contributo, evidenziando il percorso della moda verso la parità fra i sessi.

 Il secondo volume propone un’analisi approfondita sulle pratiche di consumo e sul loro possibile miglioramento. Al centro troviamo il rapporto fra moda e sostenibilità, i problemi del mercato, i meccanismi di produzione, l’impatto socio-ambientale,  le domande rispetto al ruolo delle tecnologie, antiche e nuove, nello sviluppo del fashion system e dell’idea stessa di benessere.È molto interessante osservare come la ricerca e l’innovazione tecnologica applicata alla moda siano in grado di creare nuove abitudini di consumo, così come è affascinante il modo in cui le nostre scelte alimentari, le nostre forme di concepire il corpo e la salute spingano le nostre abitudini verso un costante spirito di innovazione.

Il terzo volume, infine, si occupa di moda e società alla luce di questioni come il dress code – espressione dei più importanti mutamenti sociali, ma anche dei luoghi alla moda e della moda – ossia il modo in cui grandi città e piccoli centri, con il passare del tempo, abbiano finito per diventare ‘non luoghi’, identificati quasi esclusivamente dalla presenza di un outlet. Al  cospetto di negozi che si susseguono e di file dense e lunghe di gente in attesa, l’uomo contemporaneo prova uno smarrimento forse simile a quello di Baudelaire che, percorrendo le strade della Parigi moderna, resta scioccato da le bric-à-brac confus delle grandi vetrate piene di merce, novità, moda. L’analisi del rapporto fra moda e spazio si amplia  verso una riflessione approfondita sui percorsi di ricerca riguardanti la moda e le mode in archivi e  biblioteche , con un ulteriore approfondimento sulla relazione tra ambiente urbano e moda.

Ed. Franco Angeli

I volumi come saggi
Nel complesso, i volumi mettono dunque in evidenza il rapporto reciproco tra gli uomini che costruiscono la moda e la moda e le mode che costruiscono gli uomini. Proprio per questa ragione il lettore, al cospetto delle complessità e delle componenti storico-sociali e culturali della moda, prima di indossare un abito, sceglierne il colore, cambiare abitudini alimentari o seguire superficialmente le tendenze proposte dalle celebrità di teatro, musica, cinema e tv, non potrà fare a meno di porsi delle domande; si chiederà cioè  il perché dei propri gusti in ambito di moda, tendenze, innovazioni e tradizioni passate, ponendosi criticamente al cospetto di una quotidianità fino a ieri data per scontata. 
I tre volumi sono curati da Maria Rosaria Pelizzari, docente di Storia contemporanea e Storia delle donne e studi di genere all’Università di Salerno,  già dirigente del Centro Interdipartimentale per gli Studi di Genere e le Pari Opportunità, particolarmente interessata ai problemi legati al mondo delle donne, alla violenza di genere, ai minori vittime e testimoni di violenza.

Entrando nello specifico, il primo volume inizia con il saggio di Claudio Azzara sull’abbigliamento fra identità etnica e acculturazione romana nei regni altomedievali. Parte dalla Historia langobardorum di Paolo Diacono che descrive abiti dei vivi e dei morti,  calzature, fibule femminili decorate con incisioni a sbalzo o seguendo la tecnica orientale del “cloisoné”, vesti decorate con fili di oro o argento e pettinature. Le donne nubili portavano i capelli lunghi e sciolti sulle spalle, le sposate li raccoglievano e li coprivano con un velo.

Nel secondo saggio, di Stefano d’Atri, incontriamo le donne di Ragusa – l’attuale Dubrovnik – del 1500, non particolarmente belle, né truccate, forse perché <<in un contesto generale volto alla regolamentazione dell’economia e al controllo sociale…lo sfarzo rappresenta un pericolo per la bontà della città>>. Soltanto in occasioni particolari come i matrimoni, si potevano adoperare il broccato e la seta, mentre si vietavano <<decorazioni d’oro o d’argento, collane, ricami o pellicce costose>>.

Il terzo saggio, scritto da Alfonso Tortora, ci porta prima a nord, nelle Valli Valdesi, e ci fa notare il senso di continuità nell’uso dello “scuffiotto”  “cuffietta bianca, medioevale, miracolo di grazia e di pazienza, ricamata, insaldata, pieghettata, prezioso dono delle avole tue trasmessoti per secoli” e il significato religioso del costume valdese femminile.

Successivamente, con il trasferimento di comunità valdesi in Calabria, il costume tradizionale fu adottato anche dalle donne meridionali, così come il dialetto – e lo confermano insigni studiosi come Teofilo G. Pons e G. Jalla, nelle pubblicazioni del secolo scorso. E si continua leggendo di ventagli, della loro origine e del linguaggio erotico (ad esempio, appoggiarlo sulla guancia destra vuol dire Sì), di garofani verdi, cappelli in feltro, guanti rosa, abbigliamento per bambini e bambine e giochi che risalgono al passato e non sono esenti da stereotipi, come la bambola che dal 2000 a. C. accompagna la crescita delle bimbe, costrette ad abbandonarla donandola alla divinità con l’inizio dell’età adulta e della vita matrimoniale. Per i maschietti, cerchi, carrettini e soldati erano i giocattoli più comuni.

Al servizio della cultua

La moda interviene naturalmente anche nella Letteratura, come si evince dai saggi di Milena Montanile, Rosa Troiano e Paola Nigro: basta pensare al teatro, alle regole del vestir bene, al piacere della moda, alle parole della moda, alla loro etimologia, alla <<visione dinamica del vestiario come preludio al desiderio di differenziarsi …i vestiti si fanno più adatti al fisico e sessualmente distinti…spicca la camicia, capo base dell’abbigliamento sia maschile che femminile…oggetto di biancheria, prezioso e piuttosto raro>>. Entrano dunque in campo Goldoni, Keller, D’Annunzio e le loro protagoniste; poi è la volta delle riviste, dall’Ottocento ai giorni nostri, infine dei costumi di scena, del cinema e degli “idoli” moderni, da David Bowie a Lady Gaga. Alle riviste Pelizzari dedica un’attenzione particolare perché evidenzia quanto siano cambiati i costumi e dunque anche il modo di vestire delle donne, cita la storica rubrica “Il saper vivere” di donna Letizia e, come modelli, Grace Kelly e Audrey Hepburn.

Il secondo volume spazia dal concetto di sostenibilità e impatto sociale ai brand di lusso, da tessuti, colori e tecnologie fino al benessere legato  alla alimentazione, alle diete di moda, ai cosmetici. Dunque, si legge dei filati innovativi che nascono dall’utilizzo degli scarti, dei legami con la cultura e le tradizioni territoriali, delle fibre e delle nuove potenzialità, dei problemi occupazionali e del rapporto fra i sessi nell’industria manifatturiera. Un saggio ci apre gli occhi sui tessuti tecnologici, antimicrobici e repellenti per gli insetti, termoregolanti, idrofobici e oleofobici, anti raggi UV e persino snellenti, a base di microcapsule contenenti molecole bioattive, oppure con tormalina, gemma semipreziosa che emette una radiazione infrarossa capace di penetrare negli strati profondi della pelle, distruggendo radicali libere e sostanze nocive e riducendo stress, dolori muscolari, affaticamento, gonfiore delle gambe.

Quanto ai colori, si citano Goethe e il suo saggio La teoria dei colori: risulta evidente che ogni colore passa attraverso gli occhi di chi lo guarda,  si forma nel cervello degli individui e varia a seconda della luce, dell’ora del giorno, eccetera. Il direttore delle manifatture reali di Gobelins a Parigi dal 1824, Michel Eugène Chevreul, “si accorge che il nero utilizzato nei ricami degli arazzi viene percepito non proprio come nero, ma assume una diversa colorazione a seconda del contesto, in quel caso a seconda del colore dello sfondo su cui era inserito il ricamo”.   E naturalmente entrano in campo le nanotecnologie che possono garantire “il miglioramento delle prestazioni di materiali tessili già esistenti…i coloranti si disperdono meglio all’interno del tessuto, garantendo quindi una maggiore uniformità della colorazione”.

Oggi, nell’ottica di un minor spreco di risorse, dalle bottiglie di plastica si crea il poliestere che si utilizza nell’abbigliamento intimo e sportivo, tecnico, da lavoro, medicale e per arredamento. In tal modo con certezza si risparmiano fino a tre chilogrammi di anidride carbonica e l’acqua necessaria per alcune tinture.

Moda e benessere

Un capitolo è dedicato alle divise dell’Esercito italiano, mentre la terza parte – come anticipato –  di questo volume si concentra sul BENESSERE. Cura questa sezione Anna Maria D’Ursi, professoressa associata di Chimica farmaceutica presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Salerno, insieme ai docenti Massimo De Martino , Maria Grazia Lombardi, Manuela Rodriguez e Rita Patrizia Aquino.

In queste pagine, si incontrano il sapere scientifico e il sapere umanistico, si parla di equilibrio psico-corporeo, di assunzione del cibo dovuta sia all’esigenza di placare la fame, che “al bisogno di soddisfare un desiderio e giungere a uno stato di piacere”. E si chiarisce che è proprio delle donne manifestare interesse per le diete salutistiche, “assumere alimenti a più basso regime calorico…”, lasciarsi condizionare e cadere nella trappola dei disturbi alimentari. E’ poi la volta di un saggio di M. G. Lombardi sulla dieta mediterranea, che va proposta ai giovani come esempio di vita sostenibile, sulla dieta vegetariana e vegana che esclude carne e pesce, sulla cosiddetta dieta “del cavernicolo” ad alto contenuto proteico, e sulla detox, su quella “a zona”, sulla Atkins – iperproteica – sulla Scarsdale, sulla tisanoreica (molto costosa e amata dalle persone che gravitano intorno al mondo dello spettacolo) e infine sulla oloproteica “che risulta squilibrata a favore delle proteine”.

Oltre le mode

Il consiglio con cui si chiude questo saggio è assolutamente da seguire: “al di là di tutte le mode, è opportuno scegliere sempre i cibi di qualità, variarli e prestare attenzione alle quantità, non tralasciando un adeguato e costante esercizio fisico!”

Dal cibo agli integratori, infine ai cosmetici, il passo è breve:”dagli anni Sessanta ai Duemila, i paradigmi della cosmetologia e scienza dell’alimentazione e integrazione alimentare sono cambiati moltissimo>>. Se nei Sessanta era al centro dell’interesse la produzione di prodotti per l’igiene – dal bagnoschiuma allo shampoo – nei decenni successivi il consumatore comincia a chiedere prodotti non tossici, dermocompatibili, controllati scientificamente da esperti, mentre alla fine del ‘900 si insiste su qualità, efficacia e sicurezza dei cosmetici destinati alla donna “non più solo madre e moglie, sportiva e efficiente, ambiziosa e di successo sia nella sfera pubblica che privata”.

Nei primi decenni del XXI secolo, sembra dominare “il trinomio ambiente-tecnologia-marketing creativo” e si allarga il campo dei consumatori anche agli uomini particolarmente interessati ai nutricosmetici. Aquino conclude ricordando che “la moda del momento è la ricerca da parte delle persone di trattamenti completi che partono dall’alimentazione, comprendono l’attività sportiva e i trattamenti estetici non invasivi per arrivare a cosmetici appropriati da applicare sulla pelle, mucose e annessi, insieme a integratori da assumere per via orale, capaci di integrare la dieta con alte concentrazioni di sostanze salutistiche/nutraceutiche”.

Il titolo dell’ultimo saggio proposto da D’Ursi è emblematico: <<Alimentarsi: risposta funzionale di un corpo progettato per muoversi>>, in cui leggiamo di patologie derivanti dalla mancanza di attività fisica. Questo secondo volume è una miniera di notizie e le pagine dedicate al BENESSERE sono davvero preziose.

Nel terzo volume incontriamo la moda, il consumismo, gli outlet, i distretti industriali, il riuso sostenibile e l’architettura nel paesaggio urbano contemporaneo nella prima parte; nella seconda la moda del mondo classico e quella delle donne africane immigrate a Castel Volturno; nella terza leggiamo la storia di case di moda nate a Salerno e in provincia, da Passaro di Cava de’ Tirreni a Bellini, Bignardi e Ricciardi del capoluogo, caratterizzate dalla presenza di imprenditrici coraggiose e capaci, <<impegnate nel realizzare un sogno, nel proseguire una tradizione familiare, nell’innovare, creare e realizzare stile e qualità>> che, di generazione in generazione, osano proporre capi di alta moda anche fuori dal territorio campano, partecipano a fiere nazionali ed internazionali, occupano, insieme alle aziende simili sparse sul territorio nazionale, “nello scenario europeo della produzione “moda” una posizione di leadership, collocandosi al primo posto per fatturato e valore aggiunto, con oltre 80.000 imprese attive e quasi 500.000 addetti”.

A queste aziende al femminile, si aggiunge una sartoria salernitana che si occupa di moda maschile, è la Quagliata il cui fondatore, di origine lucana, nel 1927 va a Napoli per frequentare la scuola di modellistica, lavora a Ferrara, a Torino, ad Aosta prima di ritornare al sud e di aprire la sua prima bottega a Salerno nel 1954. E’ qui che, oltre a crearsi una clientela maschile e femminile di qualità, si crea anche una scuola di taglio destinata solo ad allievi maschi, mentre fino a quel momento i corsi laboratoriali di taglio e cucito erano  esclusivamente frequentati dalle ragazze.

Il volume si chiude citando la moda Positano, caratterizzata fin dal 1800 da una produzione artigianale di tessuti, merletti e ricami: nel 1942 una pittrice polacca, arrivata in quest’angolo incantevole della costiera amalfitana come tanti altri stranieri, Irene Kowaliska, stampa, tramite serigrafia, “stoffe su cui dipinge il mondo che la circonda, in maniera fantasiosa e fanciullesca. I suoi lavori diventano famosi e richiesti nel mondo come testimonia la copertina del periodico Cinèmonde datato 1950, su cui Ingrid Bergman si fa ritrarre con un vestito dipinto dalla Kowaliska”.

Il successo delle case di moda che si moltiplicano a Positano continua fino agli anni Novanta del secolo scorso. L’attività attraversa poi un periodo di crisi, oggi sta riprendendo forza grazie a molte imprenditrici e a qualche imprenditore per i quali <<laboriosità, cura dei dettagli e dei rapporti umani si sposano con la capacità nel fare investimenti coraggiosi>>.

 Molto ricco l’apparato iconografico che accompagna i tre volumi.

Moda&Mode – Tradizioni e Innovazione (secoli XI – XXI), a cura di Maria Rosaria Pelizzari

FrancoAngeli ed. 2019, € 80.00 (tre volumi)

 

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