La parola molestia viene dal latino “molestus”, il cui significato con il prefisso “mole” indica senza ombra di dubbio una massa elevata e pesante. Il verbo “molestare” rimarca l’atto del gravare sull’altro questo peso, gesto non casuale ma sempre pre-meditato e per nulla lieve
.
In ogni molestia c’è la volontà che ne determina l’offesa e il danno come pure le conseguenze anche gravi sulle vittime, a prescindere dal tempo di esposizione all’offesa. Il tempo non è che non conti, caso mai è un aggravante ma non definisce se un gesto è offensivo o meno.
Per questo motivo la sentenza che non riconosce la gravità del gesto di un maschio che palpeggia una ragazza non consenziente è un segno pericoloso del tempo in cui viviamo, dove l’eliminazione del maschilismo e dei soprusi sembrano lontani e mostra una società ancora culturalmente incapace di far fronte alle tante forme di abuso quotidiano.
Ha fatto scalpore la sentenza, perché non esiste una molestia “breve”. Esiste la violenza sulle donne e sui soggetti deboli a prescindere dal tempo di esposizione ad essa. Gli studi hanno evidenziato come i danni per le molestie “lievi” quelle cosiddette “di strada”, fatte di fischi e commenti verbali a sfondo erotico, siano molto vicini a quelli prodotti da contatti indesiderati. Generano uguale insicurezza, fastidio, perdita dell’autostima, paura e ansia. Secondo alcune ricerche psicologiche, può essere molesto anche solo lo sguardo, quello provocante e offensivo relativamente al corpo femminile.
Ma quella sentenza ci serve per riflettere. Può ad esempio farci approfondire il tema ( leggi P. Romito, Le molestie sessuali. Carrocci Faber) e mostrarci come la molestia offenda e umili le donne facendole sentire ancora oggetto sessuale di un maschile bloccato e involuto. Poi se misuriamo un reato in base al tempo di esposizione vuol dire che la cultura del machismo è dura a morire ovunque. E dobbiamo farlo per chiederci quale differenza ci sia tra un palpeggiamento di 9 secondi e uno di 11 e sentire ridicolo il pensiero che nei primi attimi non vi sia reato mentre esso compaia dopo il decimo secondo! Non è il tempo che genera il trauma psichico, è la violenza anche di un solo istante che può essere devastante per una intera vita.
Mi sono occupato di abuso e molestie fisiche, sessuali e verbali negli ultimi trent’anni e ho visto comportamenti violenti di ogni specie che mi auguravo potessero essere stati ridimensionati dalla crescita della coscienza collettiva. Invece temo che un po’ tutto si vada trasformando e trasferendo dalla vita reale a quella virtuale come nella violenza del bullismo in rete. Può interessare più i giovani che gli adulti, ma accompagna una esposizione continua alla violenza e la sua normalizzazione che diventa abitudine alla prepotenza quotidiana.
Il sessimo, che non è scomparso, lo trovi ovunque e domina in internet. Gli adolescenti e anche i bambini, lo praticano come una sorta di “gioco” chiamato “Catcalling” cioè molestie verbali e calunnie a sfondo sessuale. Fenomeno poco conosciuto ma altrettanto devastante.
Prepariamoci a vederlo crescere ma attrezziamoci con una urgente educazione al digitale da mettere in campo presto, se non vogliamo assistere all’aumento incontrollato della violenza delle parole umilianti e del maschilismo ancora dominante