Tempo lento. L’arte del vino
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Quanti minuti per un caffè? Cosa offre il banco del bar? C’è coda ai servizi? Pare che a queste domande risponderà a breve una nuova applicazione, al servizio dei clienti degli Autogrill. Potremmo decidere se fermarci, e farlo senza sorprese (calcolabili). La novità risponde a un bisogno di sicurezza sanitaria ormai fondamentale, eppure viene da chiedersi: è, questo, vivere bene?

Presi contatto con Giuseppe Maiolo l’anno scorso, incuriosito da un suo articolo per il «Giornale di Brescia»: mi interessava approfondire alcune questioni legate alle forme del malessere nella realtà giovanile, fresco della fondazione di Coltivare il Futuro, un’associazione al servizio dei ragazzi e dei genitori nel mio paese franciacortino. L’incontro che seguì sul lago di Garda fu lo spunto per riflessioni che sostengono il progetto che auspicavo, ma anche – più inaspettatamente – per un mio coinvolgimento nel Comitato Scientifico del Magazine. Se la mia collaborazione può poggiare su una profonda sintonia con gli intenti che sostengono questa bellissima rivista – la diffusione di una mentalità del benessere che agisca come prevenzione, salvaguardia e cura dell’armonia in vari ambiti –, certo mi devo scontrare con qualche riserva personale, soprattutto con quella antica di prender in mano la penna: quella per cui lo striminzito sei, strappato al Professore di lettere, era un successo.

E tuttavia, se penso alla zona dove sono nato, dove vivo, dove lavoro e dove passo anche la maggior parte del tempo libero, trovo talmente tanti spunti interessanti per declinare il tema del benessere – a livello emotivo, nutrizionistico, culturale, turistico… – che non posso tirarmi indietro.

Parto da qui: dalla Franciacorta. Anzi, dal Franciacorta: dal vino che tanto ha da raccontare non solo dal punto di vista enoico (molti libri e riviste lo raccontano meglio di come potrei fare io), ma anche dalla prospettiva delle emozioni, dei sapori, di tutto il tempo che ci è voluto a crearli. Cose che si leggono nella pagina che abbiamo dentro, e che si chiama attenzione, memoria.

Mi ricordo di quattro persone che mi hanno fatto scoprire, attraverso la loro, la mia passione verso l’arte del vino; non tanto a berlo, quanto ad apprezzare il lavoro da cui proviene e i momenti indimenticabili in cui si esprime. Se pure non abitano più su questa terra, sono nei miei pensieri, e le ritrovo nei tempi lunghi del mondo contadino che mi circonda.

Il primo è stato Papà, che diede inizio all’avventura enologica della mia famiglia per un passato che lo aveva visto contadino. Mi trasmise l’amore per la terra. Poi furono i due lavoratori che con me intrapresero il percorso produttivo dopo la morte di Papà. I campi erano il loro ambiente fin dalla prima giovinezza; per motivi economici avevano dovuto arrendersi all’industria che incalzava, ma come potevano si dedicavano alle loro piccole vigne. Tornarono a trascorrere tutta la giornata lavorativa all’aperto: me li ricordo inginocchiati a tagliare l’erba col falcetto, sotto le viti dove il mezzo agricolo non arrivava; mi dicevano che la pianta ci avrebbe ripagati dei piccoli gesti coi frutti migliori; che bisognava avere rispetto per tutta la natura; che le piante erano figli.

E infine fu un grande giornalista del mondo enoico, scomparso all’improvviso, troppo giovane, addormentato per sempre al rientro da una passeggiata nei boschi. Mi ha insegnato a gustare le cose, ad apprezzarle per quello che sono. Si chiacchierava spesso, con un Franciacorta tra le mani: dalla base del calice le bollicine salivano (tra l’altro, qualcuno sa dire quante sono, all’incirca, quelle che si sprigionano in un bicchiere?), e noi ragionavamo di come il vino mettesse allegria, di quante preoccupazioni, quante condivisioni ci fossero volute per crearlo, e di quante ancora ne creasse.

Spengo il computer facendo memoria di tutte le avventure che hanno composto vite molto diverse da questa; vorrei dire più vere, ma non saprei. Più felici? Di certo molto meno frenetiche.

Fisso ancora un attimo nel vuoto. Mi sarei fermato a vivere in questa zona, se un’app mi avesse predetto ogni sapore? Chissà.

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