La prospettiva da cui leggiamo la realtà attuale è quella della gelotologia, la disciplina che studia ed applica il ridere e le buone emozioni in funzione di prevenzione, terapia, riabilitazione e formazione.
“Figlia” della PNEI, la gelotologia rappresenta un ottimo punto di congiunzione tra le acquisizioni delle Nuove Scienze e l’Arte. E’ notorio, fin dai tempi del Mito e della Bibbia, che ridere sia salutare al massimo livello, salvifico e potente come un farmaco (Proverbi 17.22), con la sua capacità -per limitarci qui solo ad alcuni elementi- di regolare parametri vitali, potenziare l’immunità, migliorare circolazione e digestione e -sul versante psicosociale- migliorare la coscienza di sé, le relazioni ed essere base di un pensiero più lucido e cosciente.
Sperimentata ed agita con grande successo in ogni settore del mondo sociosanitario da operatori come i clown dottori ed i gelotologi, quella che comunemente viene chiamata comicoterapia entrava negli anni’90 in punta di piedi nel “sacro” mondo della medicina “ufficiale” con il segreto intento di mutarne gli assetti materialisti e riduzionisti, rappresentando il cavallo di Troia della PNEI e per mostrare agli operatori della salute come e quanto le buone emozioni e la relazione umana possano influire positivamente sui decorsi delle malattie.
Abbiamo provato tutto questo in due studi clinici uno pubblicato su Ecam Oxford ed uno premiato a Stoccolma nel congresso europeo di psicologia comportamentale nel 2011 (http://www.hindawi.com/journals/ecam/2011/879125/). Il nostro lavoro di fatto consiste nel combattere la paura, nel portare un po’ di sano caos creativo nel posticcio e fallace ordine ospedaliero e scolastico; nel ribaltare dolcemente -ma inesorabilmente- convinzioni e prassi consolidate.
Eppure oggi – uscendo in strada- vediamo persone senza volto aggirarsi con occhi spauriti e smarriti; accedendo ai media, scopriamo menzogne e negazioni della realtà; osservando bene, vediamo conflitti di interesse insopportabili- oggi… cosa c’è da ridere?
La domanda ci imbarazza non poco. Infatti, persino il semplice sorriso è cancellato dalla furia terapeutica dello strumento non sense, la mascherina, che amorfizza gli adulti e rimbecillisce i bambini. Persino la logica vacilla su un virus che si propaga in statistiche spesso demenziali. Che uccide, certo, ma soprattutto socialità, fiducia reciproca, solidarietà, diritto, identità, educazione, personalità e tanto altro. In una parola l’umanità dell’uomo.E allora, ripetiamo, che c’è da ridere ? Il Riso -come detto- è uno degli antagonisti principali della paura, sentimento sparso a piene mani spesso immotivatamente. Per sua definizione la paura è irrazionale: nessun ragionamento ponderato potrà togliere la mascherina dal volto dell’anziano che arranca per la via…l’ha detto il Tg !
Ma se, ridendo, mostrassimo che l’autorità non dice tutto il vero? Se, satireggiando, mostrassimo i conflitti di interesse che alimentano il mercato del virus? Se, sghignazzando, mostrassimo le indicibili motivazioni di chi, per la poltrona, condanna psico-immunitariamente la gente alla malattia? Allora e forse solo allora, potremmo liberarci da questa paura che ammala, da questo panico che divide, da questo terrore che prepara altro terrore sociale. Ci viene in mente la fiaba di Andersen, “I vestiti nuovi dell’imperatore” in cui non si racconta della stupidità della corte e del popolo, quanto dell’indicibilità della verità. E chi la svela, infine, la verità, se non un innocente bambino (“Ma il re è nudo!”)? Oppure un folle, un clown che sa mettere il riso nella piaga, sublimando la rabbia dell’oppresso nell’atto più vitale (dopo l’amore) che un umano possa fare: ridere e far ridere, appunto.
Alla domanda, dunque, “cosa c’è da ridere”, rispondiamo con il Boccaccio (ridere nella pandemia), Rispondiamo con Charlie Chaplin che affresca -ne il Grande dittatore– il fuhrer come un cretino megalomane circondato da metodici idioti. Rispondiamo con gli antichi miti egizi, greci, giapponesi, norreni, pellerossa che, concordi, ponevano la risata come argine alla Morte, come balsamo risanatore per cosmiche crisi.