Stiamo perdendo la percezione del rischio. I bambini e gli adolescenti naturalmente ne hanno poca o niente. Ma questo è fisiologico. Gli adulti invece, se poco competenti sulle nuove tecnologie digitali, sembrano sottovalutare i pericoli provenienti anche dall’utilizzo di un sistema di messaggistica come quello di WhatsApp, considerato sicuro.
I recenti casi di adescamento ad opera di pedofili e in particolare l’ultima operazione contro la pedopornografia attivata dalla Procura per i Minorenni di Catania, hanno messo in evidenza quanto il fenomeno della pedofilia online sia ancora un grave pericolo.
È decisamente preoccupante scoprire con questa notizia, che più di 50 persone sono indagate in tutta Italia e che 30 di questi soggetti sono minori. I fatti di per sé sono di una gravità estrema, in quanto non si tratta solo di adulti che detengono e divulgano materiale pornografico ma ragazzini che sono stati scoperti ad inviare foto e video di contenuto erotico e violento a soggetti più piccoli di loro. Questo ci fa dire che, grazie al web, il fenomeno della pedofilia aumenta di dimensioni e l’età di esordio tende ad abbassarsi. Ma indica pure che la sessualità virtuale si diffonde e dilaga.
Una brutta storia questa, che ci deve far riflettere sul pericolo che corrono i minori e sui danni possibili. Pensiamo ai soggetti coinvolti, a quelli a cui sono arrivati o arriveranno foto e video pornografici e agli sconquassi psicologici che potrà arrecare tale materiale.
Le notizie diffuse dalla stampa ci dicono che la Polizia Postale e delle Comunicazioni ha scoperto una quantità di immagini erotiche e di bambini seviziati e torturati pubblicati all’interno di gruppi di ragazzini, uno dei quali denominato “Tana della luna”.
Immaginiamoci che per molti degli interessati le conseguenze sono traumi psichici che compromettono l’equilibrio psicofisco.
Siamo in grado di dirlo in quanto oggi sappiamo con certezza che le sollecitazioni precoci di fantasie erotiche e la visione di materiale pornografico e violento sono come una vera e propria forma di abuso sui minori che va chiamata “violenza informatica”.
Gli studi sul cervello ci fanno dire, con una certa dose di attendibilità, che la visione di questi contenuti inappropriati per l’età, determina nei bambini e nei preadolescenti una forte reazione emotiva capace di modificare alcune aree della corteccia. Un’erotizzazione anticipata potrebbe equivalere al trauma dell’abuso sessuale e gli studi confermano che non conta solo che l’esperienza sia reale o particolarmente intensa, ma ha un ruolo fondamentale l’età in cui questi fatti accadono, anche se a livello virtuale. Più i soggetti sono piccoli e meno evolute sono le loro strutture cerebrali che presiedono la gestione delle emozioni, rendendo i bambini incapaci di integrare a livello cognitivo i relativi vissuti.
Ci devono allarmare, pertanto, fatti come questi che vedono i minori protagonisti di azioni violente e abusanti, dettate spesso da una precoce sessualizzazione veicolata dalla realtà virtuale. Si pensi al fenomeno del sexting o del revenge porn che sono espressione della società ipersessualizzata in cui crescono i minori e dove quasi totalmente manca un’educazione alla sessualità. Nel contempo storie del genere evidenziano la distanza degli adulti dalle relazioni virtuali dei minori e dalla conoscenza di alcuni comportamenti pericolosi. Perché permettere che bambini e ragazzini gestiscano da soli il gruppo WhatsApp della classe o della palestra, fa percepire quanto i genitori intercettino ancora troppo poco i rischi che corrono i figli autorizzati all’uso dei social prima dei 16 anni. Quanto meno al di sotto di questa età potrebbe essere utile da un punto di vista educativo e della responsabilità genitoriale, far valere il principio che l’amministratore del gruppo è solo l’adulto capace di controllo e di protezione.
Giuseppe Maiolo
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