Quando un amico e collega, qualche sera fa mi segnala lanotizia appena diffusa dalle agenzie di stampa sui fatti di Bibbiano in provincia di Reggio Emilia, la mia reazione non è solo di sorpresa ma di totale sconcerto. Al centro di questa inchiesta, come è ormai noto, vi sarebbero presunti affidi illeciti di bambini ritenuti abusati sessualmente e false relazioni predisposte dai servizi per allontanare i piccoli dalle famiglie di origine e, per ragioni economiche, collocarli presso genitori affidatari anche senza alcun motivo di tutela.
Le notizie che giungono, se saranno confermate dalle indagini e dagli interrogatori, sono per sé sconvolgenti in quanto portano alla luce una serie di comportamenti lesivi dei diritti dei minori e delle famiglie e, come dice in una nota il Cismai, dovranno mettere in evidenza “le responsabilità che si collocano su piani diversi”.
Impressiona però non poco, il fatto che sulla vicenda dai contorni ancora nebulosi si siano immediatamente messi in moto i giudizi affrettati veicolati dai social e quel diffuso odio verbale che aggiunge violenza alla violenza. Colpisce la diffusione di notizie, a mio avviso fake, relative a forme di condizionamento definite “lavaggio del cervello” e a interventi con impulsi elettrici. Temo che, al di là di possibili strumentalizzazioni, le emozioni di indignazione e di riprovazione scatenate da notizie come queste abbiano contribuito ad alimentare fantasie collettive fuori luogo e inappropriate. Perché non è in alcun modo pensabile che siano stati usati “elettroshock” per alterare la realtà dei bambini in quanto tale pratica non appartiene alla cultura psicologica e poi non esiste da nessuna parte che un centro di diagnosi e cura della violenza usi un trattamento se non del tutto abbandonato, scientificamente considerato inefficace, oltreché dannoso.
È invece necessaria una riflessione sul lavoro degli operatori del settore e sulle loro delicate funzioni di intervento a favore della tutela dell’infanzia violata ancora troppo esposta a varie forme abuso.
Mi occupo di maltrattamento dei minori da più di 25 anni e conosco il tema delicato quanto spinoso che riguarda ogni violenza sia sessuale che psicologica e che oggi più frequentemente si presenta come violenza assistita e trascuratezza. Ho in mente le tante vittime incontrate nel corso degli anni, la loro inimmaginabile sofferenza, quel dolore taciuto e nascosto dentro un silenzio infinito. Ho cercato in tutte le occasioni possibili insieme ad altri professionisti con cui è doveroso operare, di capire le devastazioni interne e avvicinarmi delicatamente alle spaventose ferite che genera ogni abuso vissuto soprattutto in età infantile. Ogni volta mi sono reso conto che, nel tentativo di medicarle, si devono affrontare scelte difficili e sofferte come possono essere l’allontanamento delle vittime dagli “orchi” i quali spesso albergano dentro casa. Ho sempre incrociato il dilemma della scelta e la necessità dell’aiuto trovando in tutti quelli che se ne occupano un elevato carico emotivo.
Quello che conta, allora, è la necessità di operare insieme, sostenuti da un’equipe multidisciplinare specialistica e strutturata dove ogni membro ha bisogno di una elevata formazione e di una costante supervisione. È compito di chi opera garantire un’elevata competenza e assicurare un costante aggiornamento così come è dovere dei servizi e della comunità scientifica prestare il massimo dell’attenzione ai processi formativi degli operatori.
Solo con queste garanzie è possibile contenere gli errori e le deformazioni professionali ma soprattutto garantire un intervento di aiuto utile alla cura di quelle profonde ferite generate dalla violenza precocemente vissuta che, se trascurate, neanche un’intera vita riesce a sanare.
Giuseppe Maiolo
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