Sarebbe bello se le azioni bulle avessero anche una minima motivazione e il bullo o la bulla fossero soggetti riconoscibili a distanza. Dietro molte aggressioni, invece, e dietro la violenza ci sono dinamiche complesse ma spesso prive di una qualche specifica ragione. In un passato poco distante, quando imperversava la banda dei ragazzi del cavalcavia che lanciava sassi dal ponte sull’autostrada e uccideva chi casualmente si ritrovava di sotto, un procuratore dopo aver interrogato a lungo i giovani protagonisti di questi “massacri” disse alla stampa: “Teste vuote. Ho trovato dentro il vuoto, il nulla”.
Colpisce sempre quindi che una ragazza venga pestata a sangue in una classe e ritrovare dietro quella smisurata violenza il vuoto dei pensieri che accompagna gesti sicuramente costruiti ma senza lo straccio di un motivo. A me colpisce una volta di più l’omertà di chi vede e non parla così come la meraviglia di chi dice di non aver potuto immaginare in precedenza dietro quale volto si nascondesse l’aggressore. Significa che ci aspettiamo ancora di vedere gesti premonitori, quando dovremmo saperlo bene che il violento e l’abusante così come il bullo o la bulla non annunciano le loro azioni ma nemmeno impazziscono da un momento all’altro in preda ad un raptus devastante.
Il “male non possiede né profondità, né una dimensione demoniaca” diceva Hannah Arendt. È banale il male. Ma questo “male” bisogna conoscerlo e gli adulti, in particolare quelli che hanno funzioni educative, hanno il dovere di sapere come nasce e da dove origina la violenza dei comportamenti bulli che si sviluppano nei cortili o tra le aule scolastiche deserte.
Perché non è detto che i pestaggi e le offese, le umiliazioni e le derisioni avvengano solo quando gli insegnanti sono fisicamente lontani dai minori. Capitano anche quando chi ha il dovere di ascoltare e osservare non presta l’attenzione necessaria o ha scarsa dimestichezza e competenza dei segnali indicatori del disagio.
Nel corso dei tanti incontri nelle scuole con gli allievi e i docenti o conversando con i genitori sulle nuove forme del “male” tra i bambini e gli adolescenti, mi capita troppo spesso di ritrovare questa dimensione che coniuga ancora una povera competenza educativa sulle emergenti sofferenze della crescita e una tendenza ancora eccessiva degli adulti di riferimento alla sottovalutazione del fenomeno bullismo. Nonostante gli obblighi imposti dalla recente legge, la formazione degli operatori così come l’attenzione delle famiglie alla violenza orizzontale espressa dalle varie forme di bullismo e di cyberbullismo, si riduce spesso ad un sorprendente interesse operativo e di azione, quando si registrano fatti gravi.
In realtà famiglia e scuola hanno insieme il dovere di sviluppare competenze educative capaci di prevenire precocemente e scoraggiare la diffusa tendenza dei minori ad offendere e ferire per divertimento o per uno scarso rispetto dell’altro. Se gli adulti di riferimento non si attrezzano sul versante della prevenzione risulterà sempre più problematico l’aiuto alle vittime, in genere paralizzate in lunghi silenzi e inchiodate alla solitudine dall’assenza empatica dei pari e dalla non-curanza degli adulti. Ma sarà altrettanto difficile scoraggiare la prepotenza e lo sviluppo di relazioni attraversate dall’odio.
Credo che oggi educare venga prima di istruire e formare, perché nulla è possibile senza la costruzione dell’umano. Il che vuol dire formare il piano emotivo e promuovere attenzione e rispetto degli altri, ascolto e narrazioni di solidarietà. Ma questo è un grosso discorso che, purtroppo, una gran parte adulti drammaticamente ignora. Altrimenti non si vedrebbe circolare, come circola in questi giorni, la video-ripresa a Carrara dell’agghiacciante aggressione di un adulto su un clochard che, gettato a terra, non trova l’aiuto di nessuno e mostra l’indifferenza di chi vede e tira dritto.
Giuseppe Maiolo
Università di Trento
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