‘Stare in bolla’ o ‘essere in bolla’ sono espressioni alquanto diffuse e si riferiscono a oggetti ben posizionati, a persone in buone condizioni psicofisiche o a situazioni che vanno per il verso giusto. La livella, strumento utilizzato per verificare l’orizzontalità di un piano, è una fiala di vetro montata su una struttura in legno o metallico. La fiala, in parte visibile all’esterno, contiene un liquido, alcol o etere solforico, con una bolla d’aria che si sposta verso l’uno o l’altro lato dello strumento in base al variare dell’inclinazione. Quando la bolla si dispone centrata rispetto alla graduazione incisa sulla parte superiore della fiala di vetro, l’orizzontalità del piano su cui è poggiato lo strumento è verificata.
Possiamo immaginare noi stessi come una livella a bolla vivente.
In ogni organismo vivente, la bolla è in continua vibrazione ed è un compito arduo mantenerla più o meno in posizione centrale, sensibile com’è ad ogni variazione dell’ambiente interno ed esterno all’organismo vivente. Noi esseri umani non disponiamo di una finestrella graduata che rivela all’esterno ogni minimo movimento della bolla ma possiamo essere certi che essa non è mai immobile non fosse altro perché l’eventuale stato di quiete all’interno dell’organismo vivente e dell’ambiente in cui vive è solo apparente.
Tutto ciò che vive – un essere umano, un animale, una pianta – è delicato e ipersensibile ad ogni minima variazione dell’ambiente interno ed esterno. Siamo consapevoli solo di una piccola parte delle continue variazioni, quelle più macroscopiche quelle che provocano vistosi spostamenti della bolla. “Restare in bolla” non è facile e ancora più difficile è “tornare in bolla” dopo uno dei tanti episodi sgradevoli della vita quotidiana per non parlare degli eventi più dolorosi e traumatici.
Se la bolla non vibra significa che la vita ci ha abbandonati. Finché siamo vivi lottiamo in continuazione, con alterne fortune, per mantenere un minimo di equilibrio ed evitare di perdere il controllo del nostro corpo e della nostra mente.
Oltre due secoli fa, il medico e anatomo-patologo Marie François Xavier Bichat affermava: “La vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte”. Fin dalla nascita dimostriamo, sotto ogni aspetto, di essere dei resistenti. Resistenti contro la morte. La specie, per restare nella metafora della livella, ci segnala cosa è funzionale o disfunzionale rispetto all’imperativo di vivere contrastando sia la morte fisica sia il rischio di rinunciare alla lotta per vivere malgrado gli event traumatici ai quali andiamo incontro vivendo.
Oggi si parla di resilienza, io preferisco l’espressione forza d’animo, ma forse, alla luce di quanto ho appena scritto, il termine migliore è quello suggerito da Bichat: resistenza.
Alcuni anni fa ho letto un libro dell’economiste Jacques Attali ( Sopravvivere alla crisi. Sette lezioni di vita, Fazi Editore, Roma, 2010) in cui ho ritrovato il come e il perché di una vita all’insegna della resistenza. Ecco i sette principi che, secondo l’autore, andrebbero applicati nell’ordine.
1. Rispetto di sé: vivere e non soltanto sopravvivere. Rispettarsi e dunque cercare la propria ragione di vivere, imporsi un desiderio d’eccellenza in relazione al proprio corpo, alla propria conservazione, al proprio aspetto, alla realizzazione delle proprie aspirazioni.
2. Intensità: proiettarsi sul lungo periodo; formarsi una visione di sé, per sé, da qui a vent’anni, da reinventare incessantemente; saper scegliere di compiere un sacrificio immediato se può rivelarsi benefico sulla lunga distanza.
3. Empatia: mettersi al posto degli altri, avversari o potenziali alleati; comprendere le loro culture, i loro modi di ragionare, le loro motivazioni; essere amabili con gli altri, accoglierli per stringere con loro alleanze durature; essere in particolare capaci di ammettere che un avversario può avere ragione senza provare vergogna o rabbia per questo.
4. Resilienza: una volta identificate le minacce, diverse per ogni tipo di crisi, occorre prepararsi a resistere mentalmente, moralmente, fisicamente, materialmente, finanziariamente se una di esse dovesse concretizzarsi.
5. Creatività: se gli attacchi persistono e diventano strutturali, se la crisi si radicalizza o si iscrive in una tendenza irreversibile, bisogna imparare a trasformarli in opportunità. Ciò esige un pensiero positivo, il rifiuto della rassegnazione, un coraggio e una creatività pratica.
6. Ubiquità: se gli attacchi continuano, sempre più destabilizzanti, e non è possibile nessun loro impiego positivo, bisogna prepararsi a cambiare radicalmente, a imitare il migliore di quelli che sanno resistere, a rimodellare la rappresentazione di sé per poter passare nel campo dei vincitori senza perdere il rispetto di se stessi.
7. Il pensiero rivoluzionario: occorre essere pronti, in una congiuntura estrema, in situazione di legittima difesa, a osare il tutto per tutto, a forzare se stessi, ad agire contro il mondo violando le regole del gioco, pur persistendo nel rispetto di sé.