E’ stato il primo libro che ho ricevuto in regalo, era grande e spesso, con una copertina rossa e tante illustrazioni. Non sapevo ancora leggere, ma lo trasportavo faticosamente quando era il momento di mangiare perché l’accompagnamento della lettura era…imprescindibile.
Dunque, Geppetto e Maestro Ciliegia, il Grillo-parlante e la Lumaca, il Paese dei balocchi e la Fata turchina sono stati miei compagni di viaggio, dalla primissima infanzia all’età adulta, quando ogni figura ha assunto uno spessore diverso. Ora il professore Epifanio Ajello, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Salerno, ha pubblicato un prezioso Abbecedario di Pinocchio che dedica al figlio Vincenzo e che definisce <<un quaderno di esercizi, prove pratiche di una teoria che non c’è; appunti scritti di fianco al Pinocchio nella speranza che qualche nuova eco inesplorata giunga ancora dal libro>>.
In ordine alfabetico, Ajello procede con riflessioni interessanti su tante parole, partendo da Abbaco e terminando con Zig zag, citando autori di varie epoche e situazioni assai diverse.
Tra gli autori, troviamo Apuleio che nel suo Asino d’oro inventò la formula che sarebbe diventata “C’era una volta” (Erant in quadam civitate rex et regina), Giuseppe Berto, di cui alcuni passi del Male oscuro sono paragonati ai monologhi di Pinocchio, Joyce che nel suo Ulisse inserisce il “flusso di coscienza”, Gogol e Carlo Gozzi che evocano il turchino di monete o di un uccello, e tanti altri. Interessante il riferimento a Gramsci che, a proposito delle illustrazioni del libro, scrive a sua cognata Tania:<<Mi ero formato, da ragazzo, una mia immagine di Pinocchio, e vederne poi una materializzazione che era diversa da quella della mia fantasia, mi indisponeva e mi rivoltava. Perciò mi pare che sia stato bene che a Firenze non abbiano lasciato fare il monumento a Pinocchio; per i ragazzi fiorentini avrebbe significato l’imposizione, dall’esterno, di un’immagine standard, che avrebbe impedito ogni fantasticheria arbitraria. Ma non è in questo arbitrio della fantasia il maggior piacere dei bambini nel leggere Pinocchio?>>.
Quanto al Paese dei balocchi, che ogni bambino, e dunque anche io, immaginava come un luogo di delizie, da adulta è tutt’altra cosa: è un paese non identificabile, in cui è precluso l’accesso alle donne! Come suggerisce Ajello, non ci sono né calendari, né orologi, né obblighi scolastici; in una piazza i ragazzi giocano, in un’altra c’è un florido mercato di quadrupedi; anche il sindaco commercia asini…
Altri animali compaiono tra le pagine, il pappagallo <<sopra un albero…si spollinava le poche penne che aveva addosso>>, spettegola e <<si diverte a fare il pedagogo>>; il pesce-cane ospita nella sua grande pancia un padre e un figlio e ha <<una bocca così larga e profonda, che ci passerebbe comodamente tutto il treno della strada ferrata colla macchina accesa>>; il Grillo-parlante,<<dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro>>, il Gatto e la Volpe, il Serpente <<grosso, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntuta, che gli fumava come una cappa di camino>>.
Se riflettiamo, come suggerisce Ajello, ritroviamo un soprannaturale “sfumato” simile a quello delle fiabe di Andersen o dell’Alice nel paese delle meraviglie, ma possiamo anche pensare che a Pinocchio si siano ispirati Moravia a proposito del seppellimento delle monete nel romanzo La disubbidienza, e Calvino che cita <<posti magici, dove ogni volta si compie un incantesimo>> nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno.
Insomma, se rileggiamo Pinocchio con occhi diversi, se scopriamo o ri-scopriamo il Pinocchio di Giorgio Manganelli o di Luigi Compagnone, non possiamo non pensare a quanto un testo per bambini, scritto da Collodi forse per convincere i piccoli lettori che solo quando diventa una bambino diligente Pinocchio abbandona il corpo del burattino, possa ancora dire a noi. E, per concludere, possiamo ricordare il Pinocchio presentato a teatro da Carmelo Bene il quale recita una filastrocca che <<ha il rimbombo dei luoghi solitari, degli spettri, il freddo dei cimiteri>>.