Credulità. Veggenti e miracoli per vincere l’incertezza
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Credulità vuol dire credere. Ma di solito si tratta di un eccesso di fiducia in un altro o nelle cose che dice. È credulità allora, “accettare” l’imbroglio.

Non riguarda la credenza religiosa e nemmeno è una prerogativa dei credenti, ma in un tempo di santoni e veggenti che propongono miracoli, di fake news e truffe diffuse, serve chiedersi come mai e cosa accade. Siamo diventati più ingenui e suggestionabili? Abbiamo perso la capacità di pensare con la nostra testa?

La parola credulità è latina (credulitas) e rimanda al verbo “credere” che quand’è affidamento eccessivo e fuor di misura, è sinonimo di debbenaggine, di semplicità della mente e d’ingenuità. Peggio ancora, di sprovvedutezza.

Nei tempi che viviamo, nella foresta di informazioni poco controllabili e sovrapposte, non di rado parziali o decisamente false (fake), è facile confondersi. Districarsi nel quotidiano, in una “realtà aumentata” mette a dura prova la nostra autonomia mentale, le nostre conoscenze e quel “sapere” conquistato che sembra senza confini.

Forse la credulità, e più ancora la “creduloneria”, non è una caratteristica umana nuova anzi, di sicuro appartiene a molti e, diceva Freud, è ciò che spinge a credere ai sogni profetici. In fondo, sostiene, sono desideri rimossi: “Il sogno non è quello che accadrà, ma quello che vorremmo accadesse. La mente popolare procede in questo caso come è solita fare altre volte: crede ciò che desidera”. (Il sogno; Bollati Boringhieri)

Allora si tratta di un bisogno che si traveste da desiderio e confina con la consolazione, quella che può aiutarci quando non troviamo risposte da nessuna parte. Se è l’incertezza a dominare la vita, andiamo alla ricerca di cose sicure, di pietre magiche o eventi miracolosi che ci salvino dai pericoli e dal vuoto. Vaghiamo alla ricerca di uscire dal dubbio e dall’ambivalenza che sono terreni scivolosi e faticosi della psiche perché attraversamenti irti di conflitti cui possiamo far fronte solo con dosi massicce di equilibrio. Altrimenti si cade o si precipita nella disperazione.

Lo sappiamo, l’incertezza è difficile da sopportare, richiede resilienza, cioè forza capace di affrontare l’indeterminato e la relatività della vita. Spesso, come è accaduto nella pandemia, non la tolleriamo perché ci espone alle fragilità del disorientamento che pensavamo superato con l’adolescenza, il tempo dello spaesamento più totale della coscienza.

Ritrovarlo nella quotidianità è un prezzo troppo alto da pagare, se non ci sostiene un attaccamento sicuro costruito nell’infanzia. Un disorientamento che ha i costi elevati dell’ansia sociale, liquida e senza argini. Oppure ha la potenza dell’angoscia che incatena e del panico che minaccia, come terremoti interni capaci di aumentare l’insicurezza.

Prima della povertà della ragione, allora, è la sfiducia a determinare la credulità che in fondo è il pensiero infantile e magico dell’esistenza. Un evento consolatorio il miracolo narrato perché tranquillizza la psiche quando si è persa la prospettiva e l’energia della creatività

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