Educare alla digitalità
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I “pollicini”, cioè i nuovi adolescenti che scrivono sullo smartphone con due pollici, per motivi biologici culturali ed evolutivi sono dentro un flusso continuo di cambiamenti e mutazioni fisiche, mentali, relazionali, affettive.
La realtà sociale in cui sono inseriti, come tutti noi, è liquida, senza margini e senza confini, fluida e in rapida trasformazione.  Cresciuti con la mediazione del cellulare, i Millennials hanno l’esigenza costante di stare sempre connessi e in continuo contatto. 
La tecnologia avanzata di questo tempo assolve però in maniera nuova uno dei compiti più importanti che vi sono in adolescenza: la necessità di separarsi dall’infanzia e tagliare i legami con la famiglia per diventare autonomi e indipendenti.Legami giovanili e vicinanza amicale del resto sono sempre appartenute all’adolescenza. In ogni passaggio generazionale, il gruppo è stato importante, e più ancora necessario per crescere.
Viceversa la mancanza di relazioni con i pari è sempre stata un possibile segnale di disagio.
Vi è quindi un significato particolare da leggere dietro il fenomeno dell’utilizzo precoce e intenso che fanno i minori della moderna tecnologia. Non ci deve meravigliare quanto emerge da una ricerca inerente al corso di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi dell’Università Cattolica di Milano la quale indica come già a 9-10 anni il 75% dei minori accede almeno una volta al giorno ai social e ai servizi di messaggeria istantanea come WhatsApp.

E nemmeno deve sorprenderci quando Terre des hommes, un’organizzazione che si occupa con attenzione dei problemi dei minori, ci dice che più del 60% dei ragazzi oggi passa il tempo libero sui Social e che a 13 anni si rimane connessi da un minimo di tre ore al giorno ad un tempo elevato che comprende anche le ore notturne.
Il problema, caso mai, è che nei processi educativi tutto avviene precocemente, perché si entra nell’adolescenza in modo anticipato. Per quanto i bambini di oggi sappiano prestissimo usare con una certa abilità il cellulare perché utilizzano quello di mamma o di papà, deve prevalere tra gli adulti la consapevolezza che lo smartphone è uno strumento potente il cui uso va controllato e insegnato con molta attenzione da parte degli adulti. 
 
Nessuno si sognerebbe mai di far guidare una Ferrari a un minore che non ha la patente.  Accade invece che non sia così con i nuovi strumenti di comunicazione che nessuno insegna.
Perché sembrano oggi mancare genitori attrezzati, capaci di educare alla digitalità e poche famiglie in grado di riconoscere le potenzialità dei vari dispositivi e i veri pericoli della rete.
A scuola ancor meno sono gli insegnanti che hanno conoscenze di media education e dedicano attenzione alla formazione degli allievi.

Educare ai media, prima di tutto vuol dire essere adulti competenti in questi nuovi «saperi».
Poi significa non tanto e non solo far usare bene gli strumenti di comunicazione digitale, quanto dare regole di comportamento on line, promuovere e sviluppare reputazione e cittadinanza digitale  con un costante controllo educativo.
In fondo la pericolosità non deriva unicamente dalla quantità di tempo passato a chattare con gli amici virtuali quanto farlo in modo assoluto o prevalente. 
È quando un’attività diventa sostitutiva di altre o compensa dei bisogni che invece dovrebbero essere adeguatamente soddisfatti, come  il fare attività fisica o il coltivare relazioni e rapporti reali, che possono svilupparsi problemi e disagi.

La redazione
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