Giocare per giocare
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Quattro anni fa moriva un caro amico, Giorgio Reali, giocologo, inventore di giochi e progettista di spazi verdi idonei a giochi “senza strutture fisse”, il fondatore dell’Accademia del Gioco Dimenticato. Fu spesso invitato in qualità di esperto di giochi tradizionali in numerose trasmissioni televisive. È stato coordinatore del progetto “Città in gioco”, l’Associazione fra le Città italiane che hanno musei per i bambini. Nel 2000 ha promosso il referendum “I cento giochi da salvare per il nuovo millennio” ricevendo oltre 20.000 schede di preferenza. 
Da sempre amava mettere insieme materiali semplici e diversi e di questa passione ne fece una vera e propria professione, diventando l’ideatore delle manualità per l’Albero Azzurro.

Aveva dedicato l’intera vita a diffondere tra grandi e piccoli l’amore per i giochi semplici, quelli di strada realizzabili con pochi oggetti non
costosi, giochi di oggi e giochi, spesso dimenticati, di ieri. Dovunque andava coinvolgeva nonni, genitori, figli e nipoti recuperando giochi di
ogni tipo o inventandone di nuovi. Abbiamo spesso collaborato e pensando a lui con nostalgia, riporto queste mie parole comparse come prefazione al libro la cui copertina avete visto in alto.

“Togliete il gioco all’infanzia e avrete tolto l’infanzia al mondo. Ma anche gli adulti dovrebbero tenere a mente che non c’è saggezza senza la sapienza del gioco. 

E già che ci siamo, “mi voglio rovinare”, come dicono gli imbonitori, aggiungo che una vera saggezza non è mai avara. Per farla ancora più breve, chi sa parli e chi sa fare lo dimostri. Bambini e ragazzi hanno bisogno di adulti che provino piacere nel trasmettere la loro sapienza del gioco. Una sapienza che è stata costruita nel tempo attraverso un’infinità di ore trascorse in lieta compagnia tra grandi e piccoli.

Gli autori de Il giardino dei giochi creativi hanno al loro attivo esperienze e libri sui giochi all’aperto e al chiuso più o meno dimenticati,
guadagnandosi così la riconoscenza imperitura di genitori e animatori. Non abbiamo più alibi. Chi di noi, posto con le spalle al muro dai bambini con l’intimazione “Giochiamo!” può in buona fede prendere a pretesto la scarsa memoria o la pressoché totale ignoranza dei giochi d’infanzia? Restano sempre valide, è vero, le vecchie scuse, “Oggi non ho tempo”, “Sono stanco”
e via dicendo, ma – chiedo venia al lettore magistrato o avvocato – resta il principio che ignorantia ludi non excusat, l’ignoranza del gioco non scusa più da quando Reali e gli altri giocologi ci hanno fatto conoscere  tanti giochi insegnandoci a realizzarli senza spendere una fortuna.

Mi sembra di udire una voce severa che ammonisce: “D’accordo, ma tutto questo giocare a che serve?”. A tutto e a niente mi verrebbe da rispondere rischiando le ire del mio interlocutore. Per rabbonirlo potrei ricorrere all’espediente consueto di elogiare i benefici della Santa Creatività. In realtà, io sono convinto che i bimbi abbiano bisogno di giocare…per giocare, di entrare giocando in un mondo duro e difficile. 

Almeno finché non viene instillata in loro l’ossessione dei fini da raggiungere – il che avviene di solito molto precocemente – e se le
condizioni materiali di vita lo consentono, i bambini sono naturalmente creativi e per un breve periodo vivono “la bella avventura”, come si legge nelle Elegie duinesi di R.M.Rilke:

”In quell’andar da soli

 avevamo la gioia che dà  quel che non muta

 stavamo là in uno spazio di mezzo tra mondo
e balocchi / in un posto che fin dall’origine

era creato per un evento
puro […]”
.


I bambini, al contrario di molti adulti, non hanno alcun bisogno di lezioni di creatività. Questo loro potenziale, tuttavia, può essere sviluppato soltanto in un ambiente fertile che fornisca ricchezza di esperienze e li esponga alle diversità di cultura, di sesso, di etnia, di età, di condizioni fisiche, psichiche e sociali, di ambienti naturali diversi. Il tutto in un ambiente adulto che ritualizzi le tappe dello sviluppo e della crescita sociale, fissi chiare regole del gioco e le rispetti, consentendo a bambini e ragazzi di rendersi conto si stare crescendo anche riconoscendo loro la responsabilità delle trasgressioni.

C’è tanto di felicemente inutile e bislacco nei giochi descritti e illustrati ne Giardino dei giochi. Ve li immaginate papà e mamma grandi e
grossi, con tutto il loro carico di fatiche e preoccupazioni, dedicare parte del loro tempo al “Dado allegro”  o al “Gioco del tappo volante”? 

Sì, io me li immagino e mi congratulo con loro perché le ore trascorse nel gioco-per-il-gioco fanno bene alla salute loro e dei figli.

Il filosofo Eugen Fink rifletteva da par suo sull’importanza del gioco nella nostra esistenza in un libro comparso negli anni Cinquanta del secolo scorso e tradotto in italiano con il titolo L’oasi della gioia. Idee per un’ontologia del gioco. Sperando di non tradire il pensiero dell’autore ecco in estrema sintesi alcune delle sue idee.

* Raramente gli adulti possono ancora giocare con naturalezza. Invece nel fanciullo il gioco sembra essere ancora un sano mezzo di esistenza.
* Quanto più si fa manifesto l’aspetto serio della vita, obblighi, cura, formazione, lavoro, tanto più il gioco dilegua in estensione e significato.
* È raro che si voglia e si possa conservare quanto più è possibile della spontaneità, della fantasia e dell’iniziativa di chi gioca, ottenendo, a partire dal gioco infantile, un graduale passaggio ad una specie di gioia
creativa del lavoro.
* Il gioco infantile mostra più apertamente i tratti essenziali del gioco umano, ma è anche al tempo stesso più ingenuo, meno sfuggente e meno nascosto del gioco dell’adulto. Il fanciullo sa ancora poco della seduzione della maschera e gioca ancora in modo innocente.
* Questo gioco nascosto, segreto, dissimulato si annida anche negli affari cosiddetti seri del mondo dell’adulto, nei suoi onori, nelle sue dignità, nelle convenzioni sociali. “Quanta ‘scena’ nell’incontro dei sessi!”, esclama Fink
* Non è affatto vero che solo il fanciullo gioca. Forse gioca anche l’adulto, soltanto in modo diverso, clandestino, mascherato.
* Il gioco appartiene alla costituzione ontologica dell’esistenza umana, è un fenomeno esistenziale fondamentale. 

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