L’estate del Covid è un tempo strano e pesante, non solo perché pieno di incertezze e dubbi ma perché abbonda di contraddizioni. Prendiamo i giovani del ferragosto, le discoteche o la movida, l’aumento dei contagi, i pericoli veri o presunti di un allarmante incremento della pandemia. Così sentiamo di tutto e di più sui comportamenti degli adolescenti che qualcuno definisce dotati di un “preoccupante senso si onnipotenza” e ora responsabili di mettere in pericolo anche la salute degli adulti.
In molti prevale il giudizio negativo sui ragazzi che vogliono divertirsi e, incuranti del pericolo affollano le discoteche, non rispettano la distanza sociale e non usano le precauzioni indicate per la prevenzione del contagio. Non nego l’importanza della riprovazione sociale e la sua funzione educativa che finora è stata poco riconosciuta e praticata, ma la domanda è: li abbiamo educati al senso di responsabilità?
Certo bisognerà rispondere all’interrogativo: discoteche chiuse o aperte. Ma il problema dei comportamenti non può essere esclusivamente imputato ai giovani che si sentono onnipotenti e quindi sfidano gli adulti e le regole da loro definite, perché non si tratta di una riedizione della conflittualità generazionale che un tempo regolava i rapporti di sviluppo durante la fase cruciale dell’adolescenza.
Oggi non si cresce con questo tipo di relazioni e non si sfida più il genitore normativo e severo che metteva rigorosi confini all’energia esplosiva dell’adolescente, perché questo adulto non c’è più. Domina invece, a partire dal mondo adulto, l’idea del “tutto è possibile”, prevale il sentimento di un tempo in cui ci si può permettere tutto in quanto invulnerabili. Lo abbiamo trasmesso loro, non se lo sono inventati. E poi adesso si diventa grandi con una visione corta del futuro che mantiene sempre attuale il motto “life is now” e dove, come sostiene Bob Sinclar, dj famoso, l’unica regola esistente è “goditi l’attimo”.
Non sono, dunque, onnipotenti i giovani di oggi che ballano stipati nelle disco. Sono ragazzi che non hanno la percezione del rischio, il sentimento del limite, l’abitudine a farsi carico delle responsabilità perché sono cose che non abbiamo insegnato, nè fornito loro modelli di comportamento adulto adeguati. Non mi sembra che nel tempo del coronavirus i comportamenti dei trenta-quarantenni siano stati esemplari.E allora si affronta il tempo dello sviluppo cogliendo quello che c’è, divertendosi o sballando. Oppure si va avanti nella vita arrabbiati per tutto ciò che i grandi lasciano in eredità ai figli, per quel mondo distrutto, disboscato, per un mare plastificato e un clima stravolto dall’incuria umana.
La possibilità che abbiamo non sta solo nel prendere decisioni sul chiudere o non chiudere le discoteche, ma nel fornire modelli di controcultura efficaci a combattere la società dell’individualismo e del narcisismo. Significa che tutta la comunità educante deve aiutare gli adolescenti a contenere quel pressante bisogno di riconoscimento che la rete con i suoi like ha potenziato. Se li aiutiamo a ridurre le grandi aspettative di successo e popolarità forse li facciamo cresce con un minor sentimento di delusione e di sconfitta che invece oggi sembra accompagnare l’adolescenza di tutti.
Smettiamola di discutere sui banchi con le rotelle, di distanziamento, di forma delle aule e riapriamo la scuola con la voglia di riprendere seriamente il processo educativo e non solo quello cognitivo. Trasformeremo questa realtà se anche la scuola insieme con la famiglia sarà in grado di educare al senso di responsabilità e aiuterà gli adolescenti a mettere in campo esperienze significative di crescita responsabile e comportamenti sicuri che potranno essere trasmessi agli altri.