La gratitudine come debito e ricchezza
Share :

La gratitudine è un affetto molto importante nella nostra vita, la capacità di provare gratitudine è qualcosa che ci definisce come esseri umani; la gratitudine ha molteplici sfaccettature ed influisce molto sulle nostre relazioni sia individuali che sociali.

Questo affetto ha origini precoci nello sviluppo psicologico della persona, nasce quando da bambini molto piccoli impariamo a distinguere tra noi e l’altro, quando scopriamo che non siamo onnipotenti, che la risposta ai nostri bisogni, e che la nostra stessa sopravvivenza è determinata dalla presenza di qualcuno, altro da noi, che di noi si prende cura!

Va detto che la prima risposta del bambino, molto piccolo, a questa scoperta non è di gratitudine ma d’invidia, e che la gratitudine nasce dopo, nasce per così dire sulle ceneri dell’invidia, nasce grazie ad una costante serie di esperienze che da un lato sono sufficientemente gratificanti e dall’altra contribuiscono a formare una base solida di fiducia e di riconoscimento che ritroveremo poi nella vita adulta sotto forma della possibilità e della capacità di costruire buone relazioni siano esse di coppia o parentali, persino lavorative. In questo senso mi piace definire la gratitudine attraverso un paradosso “la gratitudine è il riconoscimento del nostro più grande debito che diventa la nostra più grande ricchezza”.

Ma come dicevo prima la gratitudine è un affetto difficile da tollerare, è qualcosa che rimanda alla nostra dipendenza, e questa è una parola che spesso spaventa perchè fraintesa. Va detto che viviamo in un ambiente sociale che tende ad esaltare forme estreme d’individualismo, un ambiente sociale che esalta la negazione stessa della gratitudine.

Wisława Szymborska (1923-2012)

Basti pensare al mito del “self made man”, se mi sono fatto da me a chi dovrei essere grato. Una società la nostra che confonde l’autonomia con l’indipendenza, eppure se ognuno di noi si fermasse un attimo a pensare a come definiremmo una persona felice e realizzata? Ebbene pensiamo tutti ad una persona che vive all’interno di una rete di relazioni soddisfacenti, con il partner, con gli amici con il proprio lavoro, e così via.

Insomma pensiamo tutti ad una persona che vive e riconosce forme di dipendenza buona. Per questo prima dicevo che la parola dipendenza è spesso fraintesa, perché in automatico associamo la parola tossico, ma non esistono solo le dipendenze tossiche ma anche le dipendenze buone, quelle che aiutano a crescere con quell’adeguata fiducia in noi ed in chi ci circonda, così caratteristica delle relazioni mature.

Ed ecco svelato il paradosso la gratitudine è il nostro più grande debito perché é quello che abbiamo ricevuto nell’infanzia ma é anche la nostra più grande ricchezza perché ci permetterà a nostra volta di prenderci cura di ciò che amiamo. Nel mio lavoro, faccio lo psicoterapeuta, questa dinamica, questa possibilità di ri-pensare alle proprie relazioni ai propri affetti si rivela con chiarezza, quando nel lavoro con il paziente comincia a farsi strada un sentimento di gratitudine ci rendiamo conto di quanto questo affetto sia importante, di come renda la vita più intensa e le relazioni più ricche.

A proposito di gratitudine, sono grato a Wisława Szymborska, per la capacità propria dei poeti di dare voce al nostro mondo interno e a questa sua poesia che mi piace ricordare.

Nella moltitudine

Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile come ogni caso
In fondo avrei potuto avere altri antenati,
e cosi avrei preso il volo da un altro nido,
cosi da sotto un altro tronco sarei strisciata fuori in squame.

Nel guardaroba della natura
c’e un mucchio di costumi: di ragno, gabbiano, topo campagnolo. Ognuno calza subito a pennello
e docilmente e indossato

finche non si consuma.

Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno molto meno a parte.

Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante, una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.

Qualcuno molto meno fortunato, allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.

Un albero conficcato nella terra, a cui si avvicina un incendio.

Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.

Uno nato sotto una cattiva stella, buona per altri.

E se nella gente destassi spavento, o solo avversione,
o solo pieta?

Se al mondo fossi venuta

nella tribu sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?

La sorte, finora, mi e stata benigna.

Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.

Poteva essermi tolta l’inclinazione a confrontare.

Potevo essere me stessa – ma senza stupore, e cio vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.

Share :