A pensarci bene, la scuola che tra pochi giorni riparte, è la partita più importante da giocare in questo strano e incerto andare dell’estate 2020. E non tanto perché con la scuola si rimette in moto la conoscenza e si torna a sostenere lo sviluppo cognitivo dei bambini e degli adolescenti, quanto per il fatto che essa è il perno attorno al quale ruotano i destini degli individui e il centro da cui parte lo sviluppo produttivo e la crescita psicologica individuale e collettiva della società.
La sua riapertura non dovrebbe nemmeno essere ritenuta necessaria per consentire a famiglie e genitori di tornare alle faccende lavorative proprie e permettere di ridare “normalità” a quei i giorni in sospensione che abbiamo conosciuto e vorremmo rapidamente dimenticare.
Di certo è fondamentale che si esca dalla lunga angoscia del lockdown e si possa contenere lo spettro di un ritorno alla quarantena collettiva che ci viene continuamente prospettato. È sicuramente necessario risolvere vari dilemmi come “sicurezza o niente ripresa”, “mascherine si o mascherine no”, “banchi nuovi e spazi adeguati o scuola chiusa”. Alcuni di questi non sono dettagli o questioni di poco conto, ma naturali e precisi interrogativi a cui bisognerebbe rispondere sempre anche senza un Covid-19 che incombe sulle teste di genitori, studenti e docenti.
Perché sicurezza delle strutture, spazi ristretti, classi pollaio, strumenti didattici e formazione dei docenti da adeguare ai nuovi modi di comunicare e di “sentire” la vita in un tempo che trasforma rapidamente pensieri, parole e gesti, dovrebbero essere per la scuola prioritari e svincolati dall’emergenza.
Invece un mare di polemiche con poche e isolate progettualità sta paralizzando la scuola italiana e annebbiando la prospettiva verso cui dovrebbe puntare un sistema scolastico da rinnovare e svecchiare. Una babele di messaggi confusi e contraddittori e molte informazioni oscure e ritardate rispetto alle necessità, stanno disorientando tutti e mettono a rischio la riapertura strana e probabilmente caotica del luogo da considerare insostituibile per la crescita.
Non tanto perché lì si impara “a leggere e a far di conto”, idea vecchia e persistente della scuola che punta “al sapere” e non “all’ essere”, alla competizione e non alla cooperazione, quanto perché non fa ancora crescere la scuola del “fare insieme”, la quale con urgenza deve spostare il focus formativo dal versante apprendimento a quello dello sviluppo emozionale degli individui, utenti e formatori.
Nonostante si sia detto in tutte le salse che dopo la tragedia collettiva del coronavirus nulla sarà più come prima, non si vede ancora all’orizzonte un pensiero costruttivo per una scuola rinnovata e al passo con i tempi, un “scuola attiva” di cui già parlavano Freire, Montessori, don Milani. Per questa scuola non c’è bisogno di spazi particolari ma del sostegno di tutta la comunità educante e oggi più che mai, di competenze rinnovate che consentano alla la didattica tradizionale di integrarsi con le nuove tecnologie della comunicazione e con i nuovi linguaggi.
Una scuola fatta di docenti attrezzati con competenze non emergenziali, ma quotidiane. Perché nel prossimo anno dovremmo avere non solo i banchi con le rotelle e prescrizioni severe sull’uso delle mascherine e dei comportamenti corretti, ma modelli educativi di adulti autorevoli e coerenti capaci di gestire le proprie ansie e quelle altrui e in grado di coniugare lavagna e tablet, didattica in presenza e a distanza.
Educare continuerà ad essere un “tirar fuori” e non un “mettere dentro” ma dovrà appartenere al patrimonio di adulti di riferimento in grado di regolare lo sviluppo dei minori e al contempo essere facilitatori della loro crescita che sanno all’occorrenza sfruttare l’educazione tra pari, oggi il versante educativo più avanzato e necessario per il processo di individuazione.
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