Si avverte intorno alla scuola un afflato nostalgico inadeguato; rimbalza il mantra “ritornare”: ritornare in classe, ritornare in presenza, ritornare ad una didattica delle relazioni e della prossimità.
Sia chiaro un presupposto: personalmente sento come gli studenti l’inadeguatezza dei mezzi surrogati virtuali e concordo che vi sia una colpevole negligenza politica, di organizzazione dei trasporti soprattutto, che vanifica l’immane sforzo che le istituzioni scolastiche hanno compiuto nell’estate scorsa per assicurare la didattica in aula in sicurezza.
Ma, semplicemente, non si può tornare là dove non si è mai stati! L’idealizzata normalità non assicurava quell’humus relazionale che si vagheggia, assurgendo a modello un agire che non era così. Il limite della nostra scuola è –per dirla con una battuta- che usa la logica opposta che con il maiale: di questo non si butta niente, mentre entrando a scuola si tiene la testa dei ragazzi e si butta via tutto. Il corpo, i legami, i contatti principalmente.
E se in qualche modo tale difetto si invertirà, sarà anche merito della didattica a distanza. So bene quanto sia impopolare oggi difendere la DAD; voci autorevoli (tra gli altri Alberto Asor Rosa, Mario Agamben, Paolo Crepet) ne denunciano i difetti. La maggior parte delle scuole italiane, rimaste chiuse per oltre sette mesi ad oggi (più a lungo che in quasi tutto il resto del mondo), ha fatto ricorso alla DAD con modalità più o meno avanzate dal punto di vista tecnologico e metodologico, in una misura nettamente più ampia rispetto alle previsioni e ai timori di molti. È la stagione della “scuola diffusa”, che si svolge non nelle 45 mila sedi scolastiche ma nelle 5 o 6 milioni di case dove vivono gli studenti, che così recuperano in parte centinaia di milioni di ore di lezione perse in presenza.
Ma le criticità emerse, a fronte di non poche esperienze d’eccellenza, dovute in parte ai limiti infrastrutturali e in parte alla impreparazione tecnica e metodologica di molte scuole, inducono molti a teorizzare l’insostituibilità della didattica in presenza. Non possiamo tuttavia non tener conto che questa lunga soluzione di continuità c’è stata. E pensare di far ritorno in classe come nulla sia successo. La DAD, già oggi, ha cambiato la didattica della scuola italiana; per esempio, costringendo ad un aggiornamento in corso che nessun piano di formazione avrebbe mai espletato. E poi inducendo noi, in cattedra virtuale, ad utilizzare di più modalità empatiche seppur non in presenza (pare un ossimoro, lo so), ossia utilizzando più sforzo di coinvolgimento retorico, più strumenti mediali di presentazione a schermo, guardando in faccia i nostri ragazzi.
Davvero insostituibile sarà la conciliazione, meglio l’integrazione, tra didattica tradizionale e virtuale.D’altra parte, chi se non i docenti sa che i mezzi non fanno la differenza, né in positivo né in negativo. Non sarà un immane investimento in reti, bande, connessioni e device a farci recuperare il gap di analfabetismo tecnologico che grava sul corpo docente italiano. Così come è vero che una delle esperienze didattiche più innovative e significative del secolo scorso si è attuata in povertà di mezzi, ma spinta da robusta intenzionalità educativa.
E non in un efficiente liceo metropolitano, ma in una canonica sperduta sull’Appennino. Era a Barbiana, intuita e realizzata da don Lorenzo Milani.