Ricordo la prima volta che il corpo, il mio, è entrato dentro la scuola. Dentro le lezioni, intendo dire. A scuola col corpo ci andavo ogni giorno, è ovvio. Ma nelle lezioni entravo con la mia parte “nobile”, l’intelligenza, la logica. E basta.
Ero però rimasto coinvolto dalla Commedia dell’Arte e dai suoi attori: oltre ad ammirare Ferruccio Soleri e le sue acrobazie nel “Servitore di due padroni”, conobbi un’”arlecchino” sorprendente, Claudia Contin, con la quale seguii un corso di formazione. Niente teoria, solo pratica.
Avete presente lo Zanni? Il servitore della Commedia della maschere? Insomma il vecchio “Giovanni”, sceso dai monti della bergamasca a svolgere i lavori umili e faticosi a Venezia. Provate a camminare come lui, la schiena piegata dal peso dei bauli dei nobili, ma con la pancia e il resto proteso in avanti per la fame atavica, e non solo di cibo.
Se lo Zanni interviene alle lezioni, proprio con il fisico, e gli alunni diventano Zanni, anche il docente deve essere uno Zanni. E dietro lo Zanni arrivano Arlecchino, che è uno Zanni più evoluto, e Colombina e Balanzone e Pulcinella… E le lezioni non saranno più le stesse. Perché se ti scopri, se ti metti in gioco, se non fai più vedere solo la tua intelligenza. Beh, è finita. Nel senso che gli studenti non ti vedono più alla stessa maniera. Non puoi dire: scusate, ieri scherzavo. E anche gli studenti ti vedono in maniera diversa e non possono più essere solo “intelligenze” da nutrire di concetti. Diventano corpi, individualità, con le loro caratteristiche, emozioni, odori, esitazioni, timidezze. E non puoi più prescinderne.
Il fatto è che il teatro costringe a fare i conti con quel corpo che un adolescente spesse volte vorrebbe nascondere, per timidezza, per insicurezza, perché lo imbarazza. E che il docente altrettanto nasconde, per altrettanta insicurezza, per timore che mettersi in gioco gli faccia perdere il presunto “potere” della cultura. L’intelligenza non ci mette a rischio, ma non dice chi siamo; il corpo invece non mente. Se deve mostrare paura, il corpo si ritrae; se deve esprimere rabbia, il corpo esplode; se deve incarnare il desiderio, il corpo si protende. L’intelligenza può accontentarsi di un corpo fermo e inespressivo, che ripete formule e nozioni; le emozioni no. Teatro è vita, è finzione, è essere un altro, è essere se stessi. È creatività, fantasia, forza. Anche perché è tale la forza di liberazione che questo strumento possiede, che non vi puoi più rinunciare.
E con il corpo, che si libera, arrivano tutti gli istinti e tutte le emozioni, un corredo difficile da gestire, è vero, ma da cui non si può prescindere se si vogliono attivare relazioni autentiche. E senza relazioni ed emozioni non c’è nemmeno apprendimento. Non penserete per caso che ci si innamori della Matematica in sé. Intere classi di alunni si sono iscritte alle Facoltà scientifiche perché “fulminate” dal/dalla docente di Fisica. E così per le altre Facoltà.
Guardate invece come è organizzata una tipica classe di scuola (nell’Ottocento, Novecento, Duemila, non cambia): tanti banchi, più o meno accostati, e davanti una cattedra e una lavagna. Tutti fermi e attenti. Tutti composti. E lo stare fermi, seduti e composti permette di conseguire un giudizio finale positivo nella condotta. É chiaro che il corpo a scuola non è ben accetto.