Non è una novità che la crescita sia diventata più complessa e difficile in questo tempo di sospensione. La condizione che stiamo vivendo è un po’ quella di essere al volante di un’auto con il motore acceso, incapaci di inserire una marcia e far partire il veicolo. Ancora di più agli adolescenti manca il gesto che fa muovere. Restano “in folle” facendo salire di giri il motore. Il che corrisponde al rumoroso silenzio delle relazioni familiari e agli scontri che non producono cambiamento.
Si vive di questi tempi una conflittualità povera di soluzioni e sterile, anche perché gli adulti si fermano alle proteste e alle ferite personali. Leggono la rabbia dei ragazzi come intolleranza e, messi alla prova in fatto di resistenza o sfiancati dalla perdita di prospettive, non sanno dare significato ai gesti dirompenti dei figli. Diversamente da una volta, l’adolescente non sta negando l’autorità genitoriale. Tantomeno è ingrato o incapace di riconoscere il pentagramma affettivo avuto in dote nei primi anni di vita. Caso mai è deluso dalle promesse fatte circa la sua vita felice e arrabbiato per quel vuoto di prospettive che gli adulti non sanno compensare coltivando con lui la speranza.
I grandi, forzatamente presenti ma lontani con i loro pensieri, faticano a capire l’universo interno di un adolescente che non sa come muoversi quando non può uscire né misurare le distanze dalla famiglia. Quel “Non capisci niente” dei ragazzi infiammati da sentimenti dirompenti e incontrollati che circola negli scontri domestici è una provocazione, non vi è dubbio. È però il tentativo di chiamare in scena i genitori e informarli di quello che sta avvenendo dentro di loro.
Vorrebbero spiegare le ragioni che impediscono di mettere in moto la macchina e sono animati dalla voglia di condividere con i grandi, che nella prima fase della vita hanno dato attenzione e amorevolezza, le turbolenti emozioni e la paura del futuro, ma non trovano il registro giusto. Tantomeno ascolto.
Gli adulti, dal canto loro, si fermano allo scontro, alla ferita sanguinante e al loro dolore per le parole offensive ricevute. Non vanno oltre. Non chiedono con la curiosità necessaria per accompagnare il percorso dello sviluppo, qual è la prospettiva da cui quel figlio sta guardando il mondo. Sovente sanno poco di lui perché non chiedono e in silenzio si aspettano che racconti. Ma questi ha messo il lucchetto, o meglio la password, al suo diario.
Incontro spesso genitori sorpresi quando si accorgono che il pargolo è cresciuto e già da tempo ha fatto esperienze relazionali e sessuali che non immaginavano. Li vedo sconvolti e, giustamente, allarmati se scoprono che ha agito la rabbia contro gli altri facendo il bullo o la violenza sul proprio corpo, tagliandosi polsi e caviglie. Narrano l’oppositività senza sapere che non si tratta più di trasgressione o disobbedienza, come avveniva un tempo per marcare il divario generazionale e provare l’autonomia. È bisogno di collaudare nuove competenze e nuovi valori, diversi da quelli genitoriali. Ma il problema c’è e diventa acuto quando gli adulti tacciono o se ne stanno lontani, quando cambiano di colpo le regole educative senza trovare soluzioni condivise. Non è la trasformazione né il conflitto che fa male, quanto piuttosto le relazioni distaccate e distanti.