Dalla rabbia alla poesia. Viaggio nel rap dialogo con una fantastica Miss Rap
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Le radici

Gli antenati sono stati griotte e griot. Dei cantastorie, donne e uomini che, in Africa, andavano per villaggi raccontando i fatti delle famiglie, delle comunità, una specie di giornale ambulante,insomma. E lo facevano in rima, accompagnandosi con strumenti musicali semplici, percussioni, flauti. Narravano gesta, tramandavano tradizioni. E tanti di questi intessevano col pubblico dei botta e risposta, a ruota libera, improvvisando provocazioni vivaci. Ricordate gli scontri verbali di Muhammad Ali? Ecco i griot facevano qualcosa del genere. Su Cassius Clay una volta hanno fatto anche un film. L’hanno intitolato “Ali Rap”. Una volta lui disse di sé: “Sono un doppio rapper. Prima colpisco gli avversari con la bocca e poi li colpisco sulla bocca”. E le citazioni delle frasi più pungenti di questo fantasista del ring sono state riprese nei testi rap, ma quello che ha influenzato il mondo dell’hip hop sono stati la sua vis dialettica, il suo modo di manifestare idee, la rabbia del black people che attraverso lui trovava corpo.

E James Brown? Lo chiamavano Mister Dynamite ed era il re del soul  del funk e di tutto il resto. Era il 5 aprile del 1968. Martin Luther King era stato assassinato il giorno prima sul terrazzo del Lorraine Motel di Memphis. E Boston non aveva dimenticato che M.L. King si era laureato lì e lì si era sposato. La città ribolliva come nessun’altra in America. Cosa fare del concerto di James Brown in programma al ‘Garden’ in una città già infiammata? La gente del ‘black and proud’ si muoveva per assistere allo show di Brown, un ex lustrascarpe, un paladino dei diritti civili dei neri, bandiera dell’anti-apartheid. La cancellazione del concerto di Mr. Dynamite  sarebbe parsa un’altra provocazione. Il sindaco di Boston scongiurò James di non cancellare quel concerto. Ma era necessario un leader che parlasse al cuore della gente. Allora il re si presentò da solo sul palco, senza orpelli di scena, con un groove, la sua base ritmica, nuovo, un vero rap ante litteram. Mise in scena un dramma musical-politico che commosse il pubblico che alla fine invase il palco,ma senza conseguenze, con James mediatore tra polizia e manifestanti. Quella storia ci racconta che quel giorno James Brown salvò Boston dalla guerra civile. Ecco queste sono le radici di quello che poi è diventato l’hiphop. La musica come strumento di riscatto, un ritmo vincente che nasce da una rabbia antica

Cos’è l’HipHop

La cultura hip hop, di cui il rap è appunto espressione musicale, nacque a New York nei primi anni Settanta nell’ambito dei “block party”, grandi feste organizzate da gruppi di afro e latino americani. Dj creativi (spesso giamaicani) sceglievano i dischi e i partecipanti si esibivano nella breakdance, la danza di strada, mentre i poeti, inventavano rime, andando a tempo, con testi ad argomento sociale e politico. La parola stessa “break-dance”, “danza che rompe qualcosa, che ricerca una rottura”, è una forma di danza lontana da quella classica, che suggerisce pienamente i divari sociali, che sveglia il pensiero critico sulla realtà degli oppressi. La peculiarità dei testi hiphop, precisi e schietti, è di scuotere e smantellare i termini ristretti e borghesi del già consolidato. I“block party”ebbero, fra le tante, anche un’altra valenza: creare identità comune tra i giovani delle metropoli americane, e a ciò contribuì visivamente la passione per i graffiti. I rapper divennero portavoce della loro voglia di rivalsa, con testi che denunciavano le difficili condizioni delle minoranze nere (il tema della riscossa sociale sarà simbolizzato dallo sfoggio di grandi gioielli, il cosiddetto bling-bling).L’hip hop, per motivi che facilmente si intuiscono , è stato spesso declassato a sub-cultura, perche non si poneva allo stesso livello della cultura mainstream, quella dominante, ovvero quella condivisa e ritenuta accettabile socialmente. Ma questo non ha impedito che questo movimento crescesse.

Il passo successivo?

E’ il rap, perché, nato da questa sub-cultura”, il rap è assurto a vita propria dilagando nel mondo, vivendo semplicemente la naturale evoluzione che un elemento specifico di una cultura e di un’area geografica, se portato in un’altra area, subisce trasformandosi e adattandosi ai nuovi contesti sociali. Se queste sono le origini, il rapper, non a caso, oltre a muoversi in un determinato modo e usare un linguaggio del corpo codificato verso i propri fan, scrive testi dall’impatto e dal significato molto forti, spesso vere e proprie invettive e/o denunce di situazioni di disagio e marginalità che interessano le minoranze. Ma senza dimenticare la poesia: ricerca di rime, assonanze, metafore e figure retoriche cantate o parlate su basi musicali contraddistinte da ritmi uniformi. Una metrica antica e nuova per una poesia della rabbia.

Una rivoluzione nel solco del passato

Certo, un vero e proprio movimento anticonformista. I rapper, provenienti quasi sempre da contesti sociali disagiati, esibiscono un’immagine particolarmente virilizzata, ribelle e aggressiva. Nel suo passaggio in Europa, la musica Rap perde solo una parte di questa immagine violenta e rimane comunque un genere musicale che esprime soprattutto rabbia e denuncia da parte dei più deboli. Accentua anche un suo lato pedagogico quando s’incarica di insegnare che esiste un lato brutto e sporco della società che i salotti buoni vorrebbero ignorare.

Approfondiamo

Rap, significa “parlare con tono deciso”, è una tecnica basata sulla pronuncia veloce di sequenze di rime, al ritmo di basi ricche di percussioni. Secondo la leggenda, la parola RAP viene dalle iniziali di Rhythm And Poetry, “ritmo” e “poesia”: non è vero, ma i due termini descrivono benissimo questo genere musicale, di cui ci sono oggi molte varianti

 La musica di fondo proviene dal mix di dischi “maltrattati” con lo scratching (il movimento rapido del disco da parte del DJ) o di suoni registrati. (turntablist, beatmaking, scratching).

Altra caratteristica del rap è il freestyle, l’improvvisazione in rima, spesso in divertenti sfide di “canto parlato” chiamate battle. I ragazzi imparano a gestire ritmo, suono, respiro, a pronunciare le parole senza mangiarle. E’ la migliore scuola di oratoria, che deve la propria immortalità a questo rinnovarsi continuamente con contaminazioni e modifiche del proprio linguaggio, andando così incontro alle nuove generazioni. Ma i giovani dal rap imparano anche che esistono le dipendenze, le famiglie disfunzionali, la violenza dei bulli. E’ la fluida catarsi del rap, che offre la terapia del parlare cantando a chi non riesce ad esprimere in altro modo il malessere dei tempi che si vivono.

Ma oggi c’è in campo un altro passaggio epocale per il rap

In passato il rap si mostrava maschilista e autoreferenziale, oggi l’attenzione si sta sempre più spostando su temi come l’identità di genere, i diritti civili e le cause LGBT+.  Il rap ha ri-conquistato una sua fluidità impegnata. Negli anni 90 i rapper scendevano in piazza e i loro testi trasudavano politica. Poi c’è stato il momento del disimpegno. Il rap si lega molto ai corsi e ricorsi della società. Negli anni ‘90 era legato ai centri sociali e alle loro tematiche. Essendo uno specchio della realtà, fa propria la vita che vede per strada. Nelle nuove generazioni a volte l’impegno si assottiglia fino a diventare un nulla cosmico. Un nulla cosmico così intenso che potrebbe produrre un nuovo BigBang sociale, prima o poi. Chi ha detto che il mondo dovrà continuare ad essere dominato soltanto dai maschi alfa e dal denaro?

Il rap femminile

Il Nord Africa si è trasformato in un grande laboratorio musicale. Ne è scaturito un linguaggio e uno stile inediti, originali, autentici nel ritrovare l’identità delle radici, ma ansiosi di contaminarsi con linguaggi e musicalità nuovi, vivendo pienamente una libertà che si respira in ogni nota. Un linguista direbbe che sta nascendo una nuova lingua.
E tutto questo avviene in una parte del mondo poco o niente incline a concedere spazi alle donne. Sembra quasi che un cerchio si chiuda: dalle griotte delle radici più antiche al nuovo linguaggio di strada, alle denunce impegnate.Ed è soprattutto il web a fare da cassa di risonanza a questo nuovo melting di lingue, suoni, balli che si mescolano in un solo spartito, dove si può gustare il viaggio dall’arabo marocchino al francese, all’inglese, allo spagnolo e all’italiano. Al femminile.E’ per primo il Marocco a proporre un palcoscenico di volti e voci femminili rap.Molto rivoluzionario, perché si rivolge a una platea immensa di giovani, ragazzi e ragazze, ma anche perché visibilissima da quella parte di società conservatrice e retriva che ha sempre avversato il ruolo pubblico della donna. I video di queste rapper su Youtube sono visualizzati da milioni di spettatori e non da pochi seguaci.

Questo Paese di 30 milioni di abitanti riesce così a raggiungere un pubblico enorme che comprende anche l’Europa, originando un nuovo stile musicale e, soprattutto, lanciando una nuova sfida nel processo di libertà per le donne nordafricane. Donne che lasciano senza fiato per l’audacia e quella definitiva rottura di un equilibrio tra il maschile e il femminile che nascendo da un paese come il Marocco non può che essere definito come un vero atto rivoluzionario. L’interpretazione femminile nel rap marocchino non si dà limiti. Il linguaggio della strada, giocato anche dalle ragazze nella sua volgare violenza, non fa sconti, ancora più se inserito in un contesto conservatore, patriarcale, misogino, dove persiste la differenza abissale bint addar ( la ragazza di casa) e bint ezzanqa (la ragazza della strada). Tra un profilo e l’altro (la casa e la strada) corre il fossato delle regole, aspettative e libertà, dove bent ezzanqa, la ragazza della strada, è detta così semplicemente perché è libera, ma è fuori dalla porta.

E’ tentare di ricostruire un ideale di donna e di famiglia in un Paese pur sempre conservatore e islamico.Dietro all’alibi del rap si può finalmente dire l’indicibile. Queste nuove eroine hanno saputo trovare una opportunità, distaccandosi dal passato in maniera tranchant. Inevitabile perchè il femminismo fatto di compromessi non è adeguato alla velocità del nostro tempo. Meglio la strada, dove si può cantare ritmando parole di diritti, libertà, femminilità, sesso, droghe e alcol, come fosse questo l’inizio del futuro e si potesse così scardinare la sacralità del super-uomo, dedicandogli a volte perfino il dito medio alzato e inusitati sguardi prepotenti e minacciosi.

Protestanole donne, mobilitandosi contro regimi corrotti e oppressivi. Dal Maghreb al Levante,dal Libano all’Algeria, dall’Iraq alla Tunisia non hanno cessato di invadere le strade nonostante le misure di contenimento del Covid-19, spesso utilizzate dai regimi per impedire il dissenso.

Rivoluzioni a ritmo di rap

Artiste che lottano, lavoratrici che rivendicano i propri diritti. Giovani arabe, berbere, curde, che cercano nuovi modi di fare musica, letteratura, arte visuale.  Una rapper algerina che nel 2019 ha visto diventare le sue canzoni la colonna sonora dell’hirak, il movimento popolare che ha portato alle dimissioni del presidente Bouteflika. E l’algerina Souad Massi, musicista e cantautrice berbera, che interpreta il suo mix di sonorità in diverse lingue, dall’arabo maghrebino al Francese al berbero, accostando la sua musica al fado portoghese, al flamenco e al rock, mescolando classici strumenti occidentali al suo il tradizionale oud, costretta nei primi anni 2000 ad abbandonare il suo paese a causa delle minacce subite. La prima dj palestinese, tra le prime produttrici di musica elettronica della regione, famosa anche in Europa, che ha suonato in diversi locali e festival del nostro continente. La rapper libanese, definita da Vogue la regina dell’hip-hop arabo, con i suoi pezzi dal deciso tono politico che sono diventati simbolo delle manifestazioni iniziate nell’ottobre 2019. La giovane musicista egiziana che, tra rock psichedelico e hip-hop declinati in lingua araba, ha fondato la band Jawaz Safar (che usa solo strumenti classici arabi, oud e tabl) e il gruppo Baraka e che è riuscita a fare della sua musica la sua perfetta ribalta politica e personale. E a Tunisi, dove molte ballerine che alla passione della danza accompagnano quella per le battaglie sociali, si fa rap e si balla l’hip hop.

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