Il valore delle lacrime
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Tra tutti i modi di comunicare emozioni, il pianto è quello più tipicamente umano ed universale. Ci spalanca le porte della vita, attivando il primo respiro, e sarà nostro compagno di tutti i momenti felici e dolorosi della nostra esistenza.

Per secoli si è creduto che le lacrime si originassero dal cuore: le emozioni scaldandolo, producevano vapore che risalendo verso la testa, trovava negli occhi il modo di raffreddarsi e fuoriuscire sotto forma di lacrime.I nostri occhi hanno bisogno delle lacrime per essere lubrificati, protetti e disinfettati, ma il pianto   resta uno dei modi per contribuire all’ equilibrio del nostro benessere psicologico. Troppo spesso considerato un segno di debolezza e di eccessiva emotività, al contrario e al pari del ridere, piangere fa bene alla salute e in certi casi è necessario.

Le lacrime sono chimicamente differenti a seconda dello stimolo che le produce; più liquide quelle generate per esempio dalle cipolle sbucciate, più dense (perché più ricche di proteine) quelle che scorrono più lentamente sul viso, prodotte da emozioni e destinate ad indurre più empatia.Con il pianto il nostro organismo rilascia ormoni che ci permettono di rilassarci e trasfonderci tranquillità: le lacrime che produciamo in seguito al dolore o stress, servono come analgesico naturale. Grazie alla prolattina che viene rilasciata, i muscoli del viso e degli occhi si contraggono con l’effetto di fare aumentare la circolazione sanguina.

Il pianto svolge un’azione modulatrice sul respiro e, grazie alle endorfine che si producono, riduce il dolore e induce più facilmente il sonno. Ma se conosciamo, anche se non completamente, la fisiologia del pianto, quali risvolti psicologici possono caratterizzare il pianto in un adulto, considerato che quello di un bambino è quasi sempre richiesta di attenzione, spesso di qualcosa di tangibile (cibo, soccorso o malessere)?

Ad indurre al pianto c’è una duplice motivazione: la catarsi o la richiesta di soccorso dall’esterno; quest’ultima tesa a rafforzare negli altri la convinzione che la persona sia indifesa, suscitando un rapporto empatico che spinge al soccorso: noi piangiamo perché abbiamo bisogno delle altre persone. Chi piange è generalmente considerato sincero, affidabile, anche se introverso ed emotivamente instabile, ma più empatico. Attraverso il pianto comunichiamo le nostre emozioni, scarichiamo le nostre tensioni e tutto questo ha un alto valore terapeutico: oltre a stabilire un contatto con chi ci sta difronte, consente un’analisi introspettiva incentrata sul momento che stiamo vivendo. Liberarci di qualcosa che abbiamo dentro, significa essere pronti per superare un momento difficile e guardare con maggiore lucidità ai prossimi obiettivi.

Al contrario, soffocare il pianto, e con esso tutti gli stati d’animo che lo produrrebbero, induce all’ansia e alla depressione. Le persone che non piangono hanno la tendenza ad isolarsi; hanno relazioni meno connesse e inducono più facilmente verso sentimenti negativi come rabbia, collera e disgusto. Le donne piangono mediamente più degli uomini: ciò affonda le sue radici su motivazioni socio-culturali che considerano la donna emotivamente più fragile ed incapace di gestire le proprie emozioni, al contrario degli uomini, più inclini a soffocare i propri sentimenti, specie in pubblico. Esprimere e sfogare il dolore, l’amarezza e la gioia, non sono modi che appartengono in maniera esclusiva a questo o a quel genere, ma alle persone.

Esistono delle prove scientifiche che giustificano questi comportamenti differenti: alla base della facilità verso il pianto, c’è una differente risposta ormonale tra generi. Ridere, come piangere, sono emozioni che ci aiutano a liberarci da tossine ed energie negative con effetto autocalmante.

Anche in questa autoregolazione il genere femminile ha una marcia in più!

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