La poesia. Una rinnovata primavera che ci illumina
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Nel giorno in cui si festeggia l‘arrivo della primavera, da alcuni anni si celebra anche la poesia, parola che evoca immediatamente versi e rime, anche se etimologicamente vuol dire semplicemente “faccio”, dal verbo poieo (fare).

Scrivere una poesia può essere un momento liberatorio, si mettono insieme sentimenti e parole, ricordi e suoni, profumi e colori. E dunque comporre una poesia può creare uno stato di benessere, di realizzazione, di soddisfazione… come dire “Iovivobene se scrivo una poesia”! Ma chi è capace di scrivere poesie? E stanno davvero bene i poeti?

Le poesie della mia infanzia avevano il profumo del biancospino, o il colore del melograno, o l’odore degli spruzzi del mare; quelle dell’adolescenza evocavano amori ingenui, occhi di un azzurro di stoviglia, o più romanticamente occhi ridenti e fuggitivi e pioggia nel pineto.Oggi, nel secondo millennio, molte cose sono cambiate, le poesie per bambini sono allegre, Gianni Rodari ha saputo rendere poetico il mondo con versi semplici e intensi; le poesie per adulti spesso esprimono momenti di crisi o di dolore, oppure ironizzano sui poeti laureati, o sui saltimbanchi dell’anima…più spesso dai versi emerge la sofferenza.

Per il 21 marzo 2022 vorrei citare un poeta e una poetessa, sensibili e affascinanti, raccontati da autrici colte e profonde che hanno visto, oltre i versi di Giuseppe Ungaretti e di Sylvia Plath, capacità liriche ed espressive che evocano altri versi e persino arti figurative, vissuti entrambi nel secolo scorso.

A proposito di Ungaretti, Carla Boroni, nel testo “Lo sguardo di Ungaretti” scrive:<<La pittura, la scultura e l’architettura, le arti visive e plastiche in genere, hanno infatti rappresentato, per Ungaretti, la sua poetica, non semplici campi di studio e di riflessione, ma veri e propri strumenti per l’elaborazione di una visione del mondo, di una concezione sia tecnica che esistenziale della letteratura, di una pratica poetica che ha costruito le proprie immagini attingendo in primo luogo all’ambito dell’esperienza visiva. La poesia di Ungaretti è depositaria di una quantità enorme di immagini>>.

Invece, per quanto riguarda Sylvia Plath, Antonella Grandicelli, autrice della biografia romanzata “Sylvia Plath, Le api sono tutte donne”, racconta lo stupore di Sylvia quando il critico, nonché vecchio amico del suo ex marito Ted, Al Alvarez  <<aveva detto che ero la prima poetessa di cui avvertiva il genio dopo Emily Dickinson…Era la prima volta che facevo leggere il mio lavoro a un uomo che non fosse Ted…Sylvia, hai fatto un lavoro straordinario, davvero potente. Il più bel lavoro che tu avessi mai fatto>>.

Alle sue poesie Sylvia si appoggia, con le sue poesie spera di superare le difficoltà, la solitudine, un inverno freddo in una casa gelida, dopo aver <<chiuso Ted fuori dal mio orgoglio…ce l’avrei fatta solo con la poesia>>. Sylvia è sola e disperata, anche Ungaretti manifesta nei suoi versi un dolore senza confini, il rimpianto della fanciullezza (<<Ma perché fanciullezza/è subito ricordo?/Non c’è, altro non c’è su questa terra/che un barlume di vero/e il nulla della polvere>>), l’orrore della guerra…eppure <<in quel giorno del gennaio del ’17, inverno pieno, inverno rigido, ma certo una giornata splendente e di luce cristallina, il suo sguardo si porta rapidamente verso il cielo tersissimo, si volge ancora, con un breve/moto/di sguardo, al di là della cerchia dei monti verso il mare vicino, e tanta luce eterna lo coglie, l’avvince, l’illumina: M’illumino/d’immenso

Due versi famosi e potenti, che nessun lettore e lettrice può dimenticare, nei quali alla poesia sembra intrecciarsi la pittura. Linguaggio e visività. D’altra parte, è noto l’interesse di Ungaretti per l’arte, ha amato Michelangelo, Bernini e Borromini, Masaccio e Piero della Francesca, ha frequentato a Parigi i grandi del primo ‘900, da Picasso a Modigliani, da De Chirico a Carrà, e l’arte fa parte di lui e della sua poesia non come erudizione, ma come materia che si arricchisce di colori e di luce soprattutto dopo le estati romane.

Vi arriva il poeta/ e poi torna alla luce con i suoi canti/e li disperde//Di questa poesia/mi resta/quel nulla/d’inesauribile segreto.

Per Sylvia non ci sono segreti, è una donna giovane con due figli, tradita e abbandonata dal marito, offesa dall’indifferenza e forse dal disprezzo di chi vedeva in lei <<una donna sola. Una donna sola con due figli che non voleva più suo marito. Una donna sola con due figli senza marito che scriveva…I mariti non se ne vanno, Sylvia, i mariti si perdono>>. E’ sempre più sola, E mi vedo, piatta,/ridicola, un’ombra di/carta ritagliata//tra l’occhio del sole e/gli occhi dei tulipani//E non ho faccia, ho/voluto cancellarmi.

Avevo cominciato a scrivere immaginando il benessere del poeta, e invece mi trovo a concludere, con Ungaretti, che La morte/si sconta/vivendo e con Plath che Al mondo gli uomini son sempre morti/ e se li son mangiati sempre i vermi,/ma nessuno di loro per amore.

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