La responsabilità è capacità di dare risposte
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In questi giorni in cui le annuali ricorrenze ci ricordano i diritti dei minori e la violenza alle donne, mi viene da pensare che prima di tutto c’è un termine da mettere in evidenza al di là delle manifestazioni e delle testimonianze. È la parola “responsabilità”. Vocabolo che echeggia con frequenza e che chiediamo agli altri o invochiamo per combattere la violazione dei diritti umani e la gestione del bene collettivo.

È necessario pretenderla ma deve essere impegno di tutti a partire dalla costruzione di responsabilità comuni che, nel quotidiano, sono capacità di scegliere e decidere. Quanto meno è urgente riconoscere la sua funzione che è consapevolezza delle conseguenze derivanti da ogni gesto che facciamo e da ogni nostra azione. La parola deriva dal latino “responsus” e contiene il concetto di capacità di dare risposte consapevoli, adeguate o congrue, a noi stessi e agli altri sul comportamento e sulle decisioni che prendiamo.

È una competenza specifica dell’individuo adulto e maturo che, come diceva Aristotele (Etica Nicomachea, Bompiani), è in grado di scegliere liberamente il proprio operato, ma al contempo è cosciente di ciò che fa e conosce gli effetti che produce. Il senso di responsabilità però, va ben oltre il binomio causa-effetto, in quanto non si tratta solo di evitare le conseguenze negative ma, secondo il filosofo greco, serve a promuovere il bene altrui e quello generale, la ricerca della libertà e della felicità e contiene anche il senso del dovere e la legge morale.

È impegno concreto di chi ha funzioni di guida, di chi accompagna la crescita e deve saper garantire sicurezza e protezione. La responsabilità è tutta interna alla cura, nel senso di chi “si cura” o si preoccupa di un altro, lo osserva e lo ascolta con attenzione e offre il suo sostegno a chi non è ancora in grado di autonomia. È la condizione specifica dell’educare, senza la quale non vi è supporto alla crescita e al processo di individuazione.

Per questo abbiamo necessità di avere adulti responsabili in grado di esercitare il mestiere del genitore e dell’educatore e capace di promuove benessere, difendere l’integrità dei bambini e fornire loro garanzie di tutela.

Perché non serve solo celebrare con enfasi la Giornata dei diritti dell’infanzia se il testo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvato il 20 novembre 1989 non è ancora totalmente applicato. Anzi è dall’irresponsabilità collettiva che proviene l’alto tasso di povertà educativa, la trascuratezza e la scarsità di controllo degli adulti sui comportamenti reali e virtuali dei minori.

È la carenza di adulti responsabili che alimenta il malessere giovanile e la povertà di limiti che nelle nuove generazioni produce disorientamento e quel grave senso di vuoto e di solitudine. Se gli adolescenti di oggi mostrano la fatica di crescere, se non un doloroso disagio, c’è urgenza di ridisegnare la mappa delle relazioni educative e la necessità di costruire responsabilità a partire dall’esempio personale, prima di rimproverarne la mancanza ai giovani arrabbiati e delusi che abbiamo attorno.

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