Non è mai stato semplice sintetizzare con la parola maternità cosa voglia dire l’essere madre. Di fatto descrive una funzione complessa tanto quanto il rapporto madre-figlio.
Fino a non molto tempo fa, si pensava che la maternità fosse collegata a un destino biologico e istintivo, la cui equazione era donna = madre. Oggi invece la maternità sembra far parte più di un progetto e di una scelta matura e responsabile.
Scriveva Helene Deutsch, psicoanalista tedesca, che l’essere madre è “esperienza…in grado di metter in moto complesse e profonde e dinamiche psicologiche che portano a inevitabili conseguenze sul bambino” (H. Deutsche, Psicologia della donna, Borighieri)
La maternità, di certo fin dalla gestazione, si lega a un’intima e viscerale partecipazione emotiva e va a costituire una relazione ricca di identificazioni e di comunicazione empatica con cui un figlio può crescere e svilupparsi. Questa per lo meno è la traiettoria.
È, pertanto, legame e scambio tra due esseri che può iniziare prima della nascita, nel corso della vita prenatale, ma che si sviluppa poi in tutto il suo profondo significato.
Con il venire al mondo del figlio, o con l’adozione di un bambino, la maternità prende campo e può rendersi concreto l’archetipo del materno, quello che Jung vede rappresentato dalla Grande Madre. Una potente rappresentazione dell’inconscio collettivo che rende possibile l’energia creativa capace di cura e accudimento con cui un figlio può crescere e allo stesso tempo consente alla madre di accettarne la sua separazione.
È maternità responsabile quella che costruisce legami e fornisce basi sicure in quanto capace di generare fiducia e tollerare i “distacchi” che si susseguono dalla nascita all’adolescenza e oltre, perché funzionali al divenire dell’esistenza e al benessere del figlio.
Ma è funzione materna decisamente complessa, che richiede grande attenzione ai vissuti della donna, in quanto madre. Nonostante le celebrazioni dell’era consumistica che tendono a evidenziare lo stereotipo logoro della maternità dolce, affettuosa e amorevole c’è anche un materno che deve fare i conti con le ambivalenze e la necessità di tenere insieme gli opposti, i sentimenti positivi e protettivi con quelli aggressivi o distruttivi. Stati interni di conflitto, innegabilmente sempre presenti in ognuno di noi, ma che sembrano mettere a dura prova l’essere madri in un tempo in cui, con incredibili equilibrismi, c’è da conciliare i bisogni con i desideri, il dare e il negare, la famiglia con il lavoro, il dentro e il fuori dalla casa, gli affetti con i doveri.
Riconoscere tutto questo può aiutare a contenere un’altra frequente illusione che sembra dominare la fantasia di molte madri: il perfezionismo. A queste madri vale la pena ricordare Donal Winnicott, pediatra e psicoanalista, quando diceva che un bambino non ha bisogno di una madre perfetta ma di una “madre sufficientemente buona”.