8 marzo. Per combattere la violenza
Share :

Non avevo ancora quattro anni quando mia madre si infilava nel mio letto non per coccolarmi ma per scappare e mettersi in salvo da suo marito. Ne avevo qualcuno in più quando imparai ad arrestarle il sangue dal naso ogni volta che lui la picchiava senza ragione. Percepivo il colpo come un rumore secco e subito dopo il grido strozzato di mia madre che cercava riparo. Non la odiava ma ricordo di aver pensato più volte che non sapesse che farsene di lei. La sentiva ingombrante. Un giorno mi disse, senza rabbia: «Prima o poi la faccio fuori, tua madre» e mimò alle sue spalle il gesto con la lama di un coltello. Poi mi sorrise con un’occhiata complice.
Più della sua violenza mi feriva la sottomissione di mia madre, il suo non ribellarsi, la totale accondiscendenza alla forza con la quale lui la teneva in ostaggio. Giustificavo il suo annullamento con l’incarico a essere io, in quanto primogenita, a rimpiazzarla nei suoi compiti. Lei piangeva di nascosto e io non lo sopportavo. Non accettavo la sua ipocrisia e mi impedii ostinatamente di piangere. Non ho mai pianto per nessuno. Solo le femmine hanno il diritto di piangere, diceva mio padre, e io ho rinunciato a essere femmina per farlo contento, per compensare i suoi vuoti e avere le briciole di quel suo vago amore per me.

Giuliana B.  Franchini e Giuseppe Maiolo
(da “Se l’amore ferisce” Ed. Erickson)

Share :

Leave a Reply

Your email address will not be published.