Bambini e diabete
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Iovivobene non è solo il nome del “nostro” magazine o una frase fatta, è anche una condizione del corpo e dello spirito…quanti bambini, afflitti dal diabete, possono dire a cuor leggero “Io vivo bene”?

Se seguiti con competenza e amore dai genitori, dai medici, dagli infermieri e da tutto il mondo sanitario e parasanitario che gira intorno a loro, i bambini diabetici potranno dirlo, potranno pensare di essere come tutti gli altri bambini, di vivere una vita normale, di poter mangiare quasi tutto, con moderazione.

Dunque, questi piccoli pazienti vanno curati, le loro famiglie devono essere correttamente informate e “istruite” perché aiutino i ragazzi ad accettare consapevolmente la diagnosi e a seguire scrupolosamente le cure.

Proprio in quest’ottica, A.G.D. (Associazione giovani diabetici) Italia ONLUS coordina le associazioni italiane che su tutto il territorio nazionale sostengono i bambini e giovani con diabete e si impegna a sensibilizzare quante più persone possibile sul Diabete in età pediatrica e giovanile, per migliorare la qualità della vita e delle terapie, sostenendo inoltre la Ricerca.

Di solito in Trentino si organizzano quattro campus, il primo comprende i ragazzi da 8 a 12 anni, il secondo da 13 a 16, il terzo da 17 a 21, il quarto è destinato ai genitori che cominciano a confrontarsi con la patologia dei figli. In quest’ultimo caso, sono i genitori esperti che parlano con quelli dell’esordio.

Bisogna far capire che il Diabete si affronta seguendo quattro temi: l’alimentazione, il dosaggio dell’insulina, il movimento e – ultima ma non meno importante – l’accettazione.

E bisogna convincersi che non basta una visita ambulatoriale periodica, ma che sono utili momenti di vita normale.

L’Associazione è supportata dall’Università di Verona e dal Polo Scientifico di Trento.

Io non sono una medica, né ho legami di parentela con piccoli pazienti, ma sono stata invitata dalla dottoressa Vittoria Cauvin, pediatra diabetologa, sempre impegnata in prima linea per rendere più semplice la vita dei suoi piccoli diabetici, a trascorrere con loro un pomeriggio in montagna, a Folgaria, durante il campus: si offre ai ragazzi una settimana di vacanza, durante la quale è possibile andare in canoa, fare lunghe passeggiate, cimentarsi in arrampicate, e nello stesso tempo, imparare a convivere con la patologia, parlandone con i medici (insieme alla dottoressa Cauvin ci sono il dottor Roberto Franceschi e la dottoressa Letizia Leonardi, specializzanda in Pediatria presso l’Università di Padova), con la psicologa, la dottoressa Carlotta Dusini, e con la dietista, la dottoressa Monica Miccio, che suggeriscono comportamenti corretti.

Ad esempio, prima di cena, davanti al tabellone su cui è scritto il menu, i ragazzi imparano a fare il conto dei carboidrati, quindi capiscono da soli cosa e quanto possono mangiare, controllando l’insulina con un’app. Accanto a loro infermieri professionali come Lorenza Stefani e Angelo Cattani e giovani tirocinanti, come Martina, Samantha e Noemi.

Il mio pomeriggio con loro è iniziato verso le 17.30: i ragazzi avevano fatto una passeggiata, poi – dopo una doccia veloce – si sono seduti in cerchio davanti a me, molto incuriositi da una presenza nuova. Mi sono presentata e ho letto un racconto che aveva un tema particolare: il coraggio.

Mi hanno ascoltato con attenzione, poi abbiamo discusso insieme sul “coraggio” di una ragazza iraniana che ama il calcio, ma non può andare allo stadio perché la legge del suo Paese vieta alle donne di partecipare a eventi sportivi. Dunque la ragazza, sfidando convenzioni e regolamenti, impiega tre ore per “diventare” un maschio.  Naturalmente sa di rischiare: se la scoprono, può subire un processo e finire in prigione.

Ma cosa vuol dire coraggio? Ho chiesto ai ragazzi – simpatici, spontanei, sensibili, intuitivi – di raccontare o disegnare una storia di coraggio. Si sono messi subito all’opera, una ragazza ha scritto che ha dovuto essere coraggiosa quando sono cominciate le punture per misurare la glicemia; un’altra, accanto al disegno di uno stadio ha scritto: la vita non è aspettare che la tempesta si fermi; è uscire a ballare sotto la pioggia; due ragazzi, un maschio e una femmina, hanno disegnato un viso tagliato a metà: da una parte occhio vivace e capelli lunghi, dall’altra un occhio scuro e capelli corti. C’è stato chi ha disegnato una figura femminile: dal busto in su ha scritto a sinistra “Oggi”, a destra “Donna normale”; dalla vita in giù, calzoncini da calcio e, a sinistra, “Domani”, a destra “Calciatrice”. E poi, stadi da attraversare, porte da varcare…

A cena, tutti composti, hanno mangiato con appetito, un bambino che sapeva di poter mangiare metà panino, ne ha preso uno intero, lo ha tagliato e ha portato come un trofeo una metà alla dottoressa Cauvin.

Dopo cena, conversazione a più voci sui disegni, sulle frasi, sui colori…li ho intervistati chiedendo loro cosa avessero imparato in quella settimana di vacanza, tutti, contentissimi dell’esperienza che per molti di loro è stata la prima, hanno manifestato un certo orgoglio perché sanno contare i carboidrati, hanno capito cosa, come e quanto mangiare. Una ragazzina mi ha confessato di essersi innamorata di uno dei compagni di vacanza; un’altra mi ha chiesto perché proprio a lei sia capitata una malattia che dura tutta la vita; due maschietti, diventati amici, si sono commossi, al pensiero che il giorno dopo avrebbero dovuto salutarsi…e così via.

Infine, i premi: i loro elaborati, divisi in categorie, hanno fatto vincere a tutte le ragazze un braccialetto, ai ragazzi una matita di legno sormontata da una testa di capriolo o di cervo.

A me l’Associazione ha regalato l’orso di peluche che è la mascotte donata a tutti i pazienti, quando iniziano il percorso di cura, e una bellissima pianta fiorita.

Mi sono commossa, ho ringraziato tutti dei doni, della compagnia, della collaborazione, della creatività che hanno messo in campo per me, e mi sono detta che, se mi inviteranno l’anno prossimo, andrò molto volentieri. Mi sembra di aver imparato molto da questi piccoli uomini e donne che partono in salita, ma che hanno poi la possibilità di essere davvero come tutti i loro coetanei, o forse migliori, più maturi, più comprensivi, perché provati dalla malattia.

Dopo, discoteca! Musica a volume piuttosto alto, balli scatenati, ragazzi alla consolle. Il giorno successivo, domenica, un bel picnic e poi…tutti a casa, e arrivederci alla prossima estate!

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