Cosa dire ai bambini della violenza?
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Negli ultimi giorni spesso incontrando insegnanti nelle scuole dove faccio consulenza mi sono sentita chiedere: “Ma come possiamo parlare ai bambini di quello che sta accadendo nel mondo?”

Le insegnanti si riferivano ai fatti di Parigi, ovviamente. Perché i bambini a volte preferiscono chiedere a scuola piuttosto che a casa. Certo è importante che gli adulti, sia genitori che insegnanti sappiano accogliere le domande dei bambini e se possibile dare loro risposte adeguate al loro livello di comprensione capaci di soddisfare i loro dubbi e i loro interrogativi.

Innanzitutto dobbiamo dire che le parole sono sempre da preferire alle immagini. Non ci stancheremo mai di ripetere quanto negli ultimi anni le immagini televisive siano diventate pericolose e violente per i bambini, specie per i più piccoli. Certe immagini, a differenza delle parole, non possono mai tranquillizzare e non possono essere “misurate” e dosate.

E allora parliamo ai bambini con calma e tranquillità del mondo che li circonda anche per compensare la sovrabbondanza di immagini. È bene sottolineare che certamente vogliamo aiutarli a capire le cose che accadono e allo stesso tempo, anche se pure noi siamo preoccupati, cerchiamo di rassicurarli.

Non credo sia utile spiegare cosa significhi la Jihad, ma penso si possa dire che ci sono persone “cattive” che fanno del male agli altri senza pensare al dolore che provocano facendo del male.

Cattivi è un termine molto chiaro per i bambini e ritengo che la nostra funzione di adulti sia proprio quella di essere presenti nel quotidiano dei nostri figli, accompagnarli con le parole più comprensibili per loro a leggere il mondo. Nello stesso tempo è importante sostenere che accanto ai cattivi, ci sono quelli che vogliono migliorare le cose e fermare il male.

Anche se non sempre sappiamo trovare le parole per rinforzare la loro fiducia, dobbiamo fare uno sforzo per rassicurarli poiché noi siamo il loro mondo e il loro punto di riferimento. Serve a loro più di tutto sapere e sentire che ci siamo e sappiamo accogliere i loro interrogativi e le loro paure. Questo vuol dire sostanzialmente non lasciarli soli e in balia di tutte le loro angosce.

                                                          Giuliana Beghini Franchini

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