Il festival dell’economia fra illusioni, promesse e auspici
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Sul Festival dell’Economia ho sempre avuto se non proprio uno sguardo critico, quanto meno un pensiero scettico, soprattutto sui risultati. Certo, qualcuno potrà dire che la kermesse non è fatta per trovare rimedi pratici ai problemi, ma può solo servire per evidenziarli e rappresentare eventuali soluzioni. Vero. Ma se lo scopo è solo quello, non pare esagerato mettere in moto una tale organizzazione? Far giungere a Trento e servire come “primi piatti” addirittura 9 premi Nobel e 10 ministri, accompagnati da un “contorno” di economisti, manager e docenti a livello internazionale? E’ il discorso perenne della teoria e della pratica: non può esistere l’una senza l’altra. In altre parole ben poco può servire la prima se poi non viene applicata alla realtà delle nostre vite quotidiane.

Tutto questo per dire che se ho la massima stima dei guru mondiali che frequentano da 18 anni i palchi del Festival, raccogliendo fra il pubblico entusiasmo a piene mani, dall’altra ho numerosi dubbi sull’applicazione di quanto possiamo ascoltare nei cinque giorni in cui la città si veste di arancione e riempie giustamente pagine e pagine di giornali. Perché questo mio scetticismo? Tento di fare qualche esempio pratico.

Nel 2020, quasi 200 amministratori delegati di altrettante mega-aziende multinazionali, con bilanci da oltre 7 triliardi di dollari, firmarono un “manifesto” in cui si impegnavano ad abbandonare il dogma della moltiplicazione dei profitti. Idea nobile, certamente, peccato però che non si sappia come e in quanti decenni tali lodevoli intenzioni potranno vedere la luce. Del resto sappiamo bene come le promesse, alla pari delle idee, abbiano velocità molto diverse (se non opposte) rispetto alle azioni.

Altro esempio. Da più di vent’anni, ormai, si parla di cambiamenti climatici in tutto il pianeta, in particolar modo se ne discute nei paesi più avanzati dove la scienza, la cultura e la politica dovrebbero avere da tempo preso atto che è assolutamente urgente intervenire. Di questo se n’è discusso a lungo anche in precedenti edizioni del “nostro” Festival. Bene, dunque, ma mi faccio una domanda. Non è paradossale che per iniziare a fare qualcosa di concreto per il clima abbiamo dovuto attendere che una sconosciuta ragazzina svedese scrollasse i governi iniziando a manifestare da sola, coinvolgendo poi nelle proteste milioni di altri ragazzi in tutto il mondo? Eppure, in teoria si sapeva tutto da anni attraverso la costante presenza di scienziati e politici in inutili quanto stucchevoli salotti televisivi. Mancava evidentemente un’azione pratica che ne sollecitasse l’applicazione.

Altri esempi? Parliamo allora di Pandemia e di guerra in Ucraina. Erano proprio necessarie queste immani tragedie per capire che qualcosa nel modello sanitario ed economico dei Paesi – non solo europei – si doveva necessariamente cambiare? E dunque, quanti e quali cataclismi dobbiamo ancora attenderci per renderci conto che certe modalità obsolete, certi modelli di sviluppo validi in passato oggi non sono più sostenibili?

Adesso molti studiosi si sono resi conto (finalmente) che l’economia di mercato è distruttiva, che discrimina, causa miseria, emigrazione e conflitti sociali, crea disordine e guerre fra i popoli e le nazioni. Ce ne siamo “praticamente” accorti tutti, da qualche mese a questa parte, quando anche il nostro Paese è stato investito dalla speculazione internazionale e dai rincari dell’energia e delle materie prime. E’ la società dei consumi, bellezza! – dirà qualcuno – quella che guarda al profitto piuttosto che alla reale qualità della vita dei propri cittadini. Non c’è da meravigliarsi.

E qui torno da capo, alla funzione pratica che può rivestire il Festival dell’Economia di Trento. Penso in particolare alla politica e ai ministri presenti massicciamente in passerella ad ogni edizione. Guardando a loro e a tutti gli altri protagonisti della manifestazione, il mio desiderio è uno solo: che dal dialogo e dal confronto possano derivarne azioni concrete e non solo tanti bei discorsi di circostanza, già sentiti mille volte, che promettono di cambiare per poi trovarci, qui fra un anno, a discutere allo stesso modo degli stessi problemi. Di discussioni, ormai, siamo tutti arrivati al limite. In altre parole, la scienza e la politica devono trovare un punto d’incontro per raccordare finalmente la teoria con la pratica.

Ordine e disordine? Vediamo di saper scegliere, ma facciamolo subito. Gli auspici, invece, lasciamoli a chi non ha idee, né volontà di agire.     

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