La scuola è rito
Share :

Ormai abbiamo realizzato che non è andato e non «andrà tutto bene», specie su quel fronte –la scuola- che più ha risentito del forzato isolamento e che oggi guarda con apprensione alla ripartenza, cercando di scrutare se da questo segnale si possano trarre auspici positivi per la vita del Paese intero.

Ve li ricordate i bambini e ancor più gli studenti delle superiori, i maturandi, all’inizio del lockdown? Sancita l’emergenza e chiuse le scuole, i ragazzi festeggiavano la vacanza inattesa e lo sconto immaginato sulle valutazioni finali. Qualche settimana, si pensava, al massimo un paio di mesi tra parentesi e poi si conclude l’anno scolastico e tutto torna come prima. All’esplosione della pandemia, con tutte le conseguenze note, sono gli stessi ragazzi che hanno denunciato la superfluità della prova di maturità, hanno espresso malinconia per il mancato rientro e si sono compiaciuti che almeno sia stata compendiata da un orale in presenza.

Che cosa è avvenuto in poche settimane per mutare il loro atteggiamento? Soprattutto la presa di coscienza progressiva del dramma, sottovalutato nei primi giorni. Alcune immagini, codice così eloquente per i giovani, hanno segnato loro come tutti e resteranno icone della sofferenza: le bare trasportate dai mezzi militari, gli ospedali trasformati in avamposto da campo, papa Francesco solo in piazza San Pietro.

E poi la consapevolezza di ciò che stavano perdendo. Non tanto i contenuti didattici, che un immane sforzo di didattica a distanza ha assicurato egregiamente, con robusto supporto di homeschooling nei gradi inferiori; non solo la socialità della frequenza scolastica, che chat e videochiamate hanno surrogato. Piuttosto la ritualità insita nella scuola.


La scuola è (anche) rito.

Non essendoci più le caserme del servizio militare obbligatorio, diminuiti i matrimoni in chiesa, è principalmente a scuola che si vivono i passaggi del diventare adulti, di cui la maturità –con relativa notte prima degli esami- è emblema. Un vero e proprio percorso di iniziazione. Mancherà a queste classi, così come ai più grandi che hanno discusso le tesi dal salotto di casa, il rito, che consta di azioni pubbliche, appunto la liturgia, e di uno spazio preciso, reale.


Gli antropologi insegnano che il rito è memoria collettiva di gesti e parole simboliche ripetute secondo un modello, un canone, che rinsalda i vincoli di una comunità ed esorcizza le paure. Gli arcobaleni colorati e affissi ogni dove o i cori sui balconi sono stati riti per fugare paure indicibili, non diversi dagli usi tribali. E la scuola ancor di più è fatta di riti: la campana, l’appello, l’interrogazione, la ricreazione, gli esami… Mutano i modelli didattici, gli strumenti e le generazioni, ma certe azioni rituali permangono e rassicurano.

Non è proprio di ciò che saranno depauperati questi ragazzi? Nella fase di vera normalizzazione- ancora da conoscere-, dovremo immaginare cerimonie di ritorno e saluto agli spazi così repentinamente abbandonati. Pensiamo in particolare a chi ha concluso gli anni di passaggio, ha lasciato la Scuola primaria o, dopo la maturità, si appresta alla vita universitaria.

Avremmo ipotizzato ci potessero mancare anche le pareti scrostate delle aule e i corridoi “graffitati” delle nostre scuole?

 

 

 

Ascolta l’articolo

Share :