Rinnovarsi. Stupire e stupirsi
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L’ultimo messaggio che scrissi fu, sentendomi in colpa perché avevo tardato a rispondergli: “Ciao Roberto, guarda che non sono morta, sono qui!”, dopo alcuni giorni ricevo una e-mail di risposta dal titolo:” IO SI!”. Era il2000 e Roberto Bressanello, ci aveva lasciato. Quando vado a leggere la mia posta elettronica, dopo anni dalla morte di Roberto, mi sorprendo ancora di non trovare suoi messaggi. Roberto non è il tipo da “sparire dalla circolazione”, lui trova sempre un modo o per farsi pensare, ricordare, per esclamare: “Se ci fosse Roberto…”  Allo stesso tempo ricordo che era particolare la sua riservatezza nel manifestarsi, rivelarsi e farsi conoscere nelle relazioni. Questa sua riservatezza era molto forte verso ogni tipo di persona, i meccanismi di difesa ci permettono di trovare degli equilibri, queste difese psicologiche non devono essere vissute solo come fragilità o difficoltà nei rapporti di relazione, ma anche, come per Roberto, possibilità di preservare forza ed energia, come se all’inevitabile dipendenza fisica dagli altri, Roberto volesse, con il suo riserbo, opporre un’indipendenza emotiva, sentimentale, intellettuale, morale. Questa sensazione di mistero che io sentivo, forse rifletteva un desiderio di Roberto: rinnovarsi continuamente, stupire e stupirsi. In questa testarda ricerca di VERITA’ DI NOI STESSI ci riconoscevamo, questo è forse uno dei motivi per cui Roberto ha iniziato a scrivermi negli ultimi anni della sua vita.  Ho pensato allora di proporre alcuni brani del nostro dialogo epistolare, quale testimonianza di due amici che si ritrovano e parlano di un problema analogo, nella loro sincerità reciproca. Scelgo il tema dell’identità, molto presente nei suoi scritti del gennaio 2000 e nei miei da sempre, lo faccio attraverso commenti e risposte. Roberto: Ciao Tina, forse è poco etico e ancor meno professionale, ma ritengo doveroso chiedere aiuto a chi ha competenza ed esperienza in materia. Ti allego un monologo che mi è sgorgato di getto: l’idea è di preparare delle riflessioni a voce alta per articoli, ecc. Ma improvvisamente mi si è accesa una lampadina e mi sono detto: “perché non chiedere il supporto della psicologa?”.  (….). Ho preso questa decisione sia per tutto il lavoro che avevi svolto negli anni passati, sia per la tua impertinenza proverbiale, dall’altra perché facendo circolare queste mie idee non vorrei creare danni irreparabili al mondo del 2000.  Grazie, un abbraccio, Roberto“…Mentre mi guardavo allo specchio per pettinarmi, mi sono strizzato l’occhio e messo a ridere: la gente e chi mi circonda certamente mi definisce disabile.  E questo è vero, soprattutto se voglio scimmiottare tutto quello che fanno le persone che mi circondano. (.…) Se parlo con amici e amiche con le mie caratteristiche fisiche (non sono clonati, ma per definizione medica o d’altri esperti hanno la mia patologia l’atrofia spinale) ci si dice che abbiamo problemi e non siamo inseriti socialmente; affrontiamo le barriere architettoniche, e talvolta abbiamo bisogno di assistenza. Ma la vita ruota solo intorno a tutto questo? Certo che no!  Ho le mie idee, le mie aspirazioni, e le mie passioni (cinema, musica, Internet) e probabilmente anche sentimenti. Come le vivo?  Sarà l’aver vissuto nel fine secolo scorso che mi fa credere che tendo sempre a riflettere il mondo dei normodotati. (…)  Santina: “Ciao Roby, t’inviterei a tentare di riscrivere il monologo, in maniera più libera, esprimendo i tuoi sentimenti senza mediarli eccessivamente, tanto traspaiono lo stesso, anzi a me sembra quasi un grido silenzioso, in più corri il rischio di non essere capito o peggio di essere frainteso; se non lo fai il tuo sforzo rischia di essere fine a sé stesso. (…) Da qui la domanda perché vuoi scrivere? Perché vuoi scrivere così? Vuoi provocare, vuoi stupire, vuoi urlare, vuoi ammaliare, vuoi confondere, vuoi farti degli amici, vuoi litigare con i nemici ecc.?”. Roberto: “(…) Se affrontiamo altri temi più personali, ad esempio apro la finestra del tema famiglia. Per i disabili è stato coniato in questi ultimi anni il terroristico titolo del “Dopo di noi”. Riflettiamo: dopo di chi??? Ma chi ha coniato questa bella frase? Certamente un normodotato, perché ovviamente un disabile se muore non può certo rientrare nel concetto del “dopo di noi”. Ma allora, qualche normodotato sta imponendo un suo metodo a soggetti “fragili e deboli”, quasi fossero oggetti da mettere in cassaforte. Poiché ho la pretesa d’essere soggetto, giuro che a queste cose mi ribello e mi dico: “ho il diritto di decidere a modo mio”. Già: ma come……. metodo loro o mio? ………. ma il mio qual è?  E qui mi convinco che io, essere negro, ho sempre ragionato da uomo bianco, e questo non vuol dire che sia sbagliato, è solo che mi adatto a schemi preesistenti che poco o nulla sanno di me e delle mie caratteristiche ed esigenze. Ma quali esigenze?  Sopravvivenza? Vivere da re? O altro? Perché? Come? Con chi? Nello scorso secolo sono stati sperimentati modelli alternativi (pensati da normodotati o disabili?), e qui parlo di vita comunitaria, casa-famiglia, tutte esperienze che a grandi linee riflettono lo schema casa, lavoro, famiglia dei normodotati o almeno incentrate su forme d’assistenza volontaria o istituzionalizzata. Ma oggi, e domani? Per molti altri anni non credo che il mondo possa cambiare velocemente, soprattutto se io soggetto definito disabile non cerco soluzioni alternative! (ma quanto è comodo che altri pensino per me!!! Santina: (…)  “Io penso che un disabile sia facilmente condizionato dall’handicap, che tutta la sua vita è senz’altro impregnata da esso, però non mi sta bene assolutamente quando tu dici che le scelte di un disabile sono scelte predeterminate da altri, senz’altro può succedere soprattutto se la persona è troppo giovane o ha un anche un handicap di tipo psichico, ma molti handicappati hanno avuto il terrore di questo e hanno impegnato anni per seguire la propria strada e i propri ideali, i propri sentimenti…. Io stessa, per farti un esempio, ritengo di aver veramente iniziato a vivere verso i 25 anni, quando sono stata determinata nel voler studiare e ho fatto tutte le scuole in dieci anni, iscrivendomi all’Università a Roma, facendo la pendolare: Milano, comunità di Fabriano, Roma. Tutti mi avevano boicottato fino all’inverosimile e quella strada non l’ho imboccata per spirito di contraddizione, ma per trovare la mia verità, sentivo che era quella la mia strada… e non era l’unica. Ho scelto psicologa clinica perché amo l’uomo e amo conoscerlo, aiutarlo, a stare bene con sé stesso e con gli altri, amo tutte le sue contraddizioni e l’imprevedibilità continua con cui sceglie di vivere la propria vita; come me altri disabili hanno cercato la loro strada…”(….) Roberto: …Mi è stato detto, trovati un buon gruppo di persone e parti per la tua strada…. E poi se sono normodotati, possono avere le mie esigenze o possono solo capire le mie esigenze?  (…) Santina: (…) ” Se siamo tutti simili ma allo stesso tempo tutti diversi perché questa domanda, Roberto? Ritengo che una persona “normale” che si accosti al mondo della disabilità, non debba avere sensi di colpa perché lei “non lo ha”. (…) È ovvio a questo punto che non siamo solo barriere, assistenza ed handicap proprio perché: NOI NON SIAMO L’HANDICAP. Ma allo stesso tempo, se non lo fuggiamo, ma consapevolmente ci conviviamo, sappiamo che è una parte di noi e non ci parleremo più addosso, ma saremo noi protagonisti sul come? con chi? dove, perché? Viverlo. Perché non siamo appassionati SOLO di: cinema, musica ed Internet ma di Lampedusa, Amalfi, passeggiate e amori, amanti e mistero, montagne e neve, crociere, concerti, politica e amicizia, economia e barzellette, amore sessualità e figli, vecchiaia, morte e “dopo di noi”? Dove andremo? Saremo anche lì in carrozzina?  Saremo liberi di NON convivere… “con l’handicap”? …” Caro Roberto, perché non scrivi la tua biografia? Sarebbe un modo per dire le cose che hai dentro ed anche un modo per farti conoscere, poi potresti scrivere un capitolo del libro dando sfogo completamente a questo tuo linguaggio, (ormai l’ho battezzato “cirillico”), potrei propormi io per la traduzione nella pagina a fronte. A parte gli scherzi, pensaci! (…) Roberto: “Ciao Psycho, vedi che quando ti impegni sai dare il meglio di te stessa? La tua chiacchierata mi ha veramente rilassato, cercherò di seguire i tuoi consigli e ben volentieri cercherò di tradurre i miei geroglifici. Effettivamente ho passato una rivoluzione francese (che si sta trasformando in rivoluzione di ottobre…….). Cerco di spiegarti, adesso ho le idee più chiare: se a maggio ’98 cominciavo a capire che un ciclo storico era alla frutta… la mia storia personale mi ha aiutato ulteriormente. Ho dovuto abbandonare la scuola, prendere nuovi ritmi biologici, essere casalingo o cavernicolo, dunque trovare spazio dalla mia nuova crisalide. (…) Il tutto mi ha convinto a rivedere molti punti di vista stereotipati, cosa positiva, e nello stesso tempo nell’idea di rompere un po’ di vetrerie vecchie, in questi scritti ci sto provando! … Proprio perché sono eruttate come da un vulcano, ho chiesto la tua gentile collaborazione; e ci sei riuscita, e ci sono riuscito. Magari adesso si possono rivedere i cocci e preparare un nuovo scenario, che dici? La tua sensibilità mi aiuterà di certo (vecchio mostro, anzi vecchia mostra……. e non ho dimenticato che devo esporti a Mestre). Un abbraccio, Roberto*  “Facendo circolare queste mie idee non vorrei creare danni irreparabili al mondo del 2000”,  Penso che la paura di Roberto sia infondata, perché nella sua vita il coraggio al cambiamento e la scelta di volere autonomia anche nel mettere in discussione, in crisi, certezze raggiunte, hanno lasciato una traccia indelebile nel mondo dell’handicap e non solo.  Le sue contraddizioni, i suoi dubbi e le sue incertezze, nascoste e custodite come in uno scrigno prezioso, possono divenire una forza propulsiva e un perno su cui costruire, spero anche nel futuro.  Roberto, la tua crisalide è diventata farfalla… fidati… la tua “mostra” Santina
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