“Tira fuori la lingua!”
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Continuo la mia storia che potrebbe diventare spunto di dibattito o scambio di riflessioni… E  ricordo che si può commentare!

Dopo circa 2 anni pur facendo tanta fisioterapia le mie condizioni non migliorarono molto, facevo fisioterapia due volte al giorno con un’operatrice, per recuperare ciò che avevo perso durante l’intervento. Ma lei quando non riuscivo a rilassarmi e mi irrigidivo mi picchiava. Un giorno mia madre per caso essendo rimasta a casa la vide e la cacciò.

 Ma questa è un’altra storia.

Dopo un po’ di tempo mio padre casualmente conobbe un medico e gli raccontò di me, venne a casa a dirlo a me e mia madre, io mi arrabbiai moltissimo, perché avevo appena superato l’intervento, quindi, vista la mia esperienza, non volevo più sentire parlare di dottori, tantomeno per la mia disabilità. Un giorno questo medico venne a casa, si misero in studio a parlare e poi vennero a chiamarmi dal salotto, mi chiese come mi chiamavo, risposi: Santina Portelli, e lui: “quanti hai? tira fuori la lingua”, poi mi disse che potevo andare e si richiuse per un’altra mezz’ora con i miei in studio. Quando andò via mia madre si sentì male e dovettero chiamare l’ambulanza.

Il giorno dopo, tornata da scuola, la mia assistente mi disse che mia madre era stata male la sera prima, perché il dottore le pronosticò che potevo morire a 20 o a 40 anni, questo fa capire la follia del medico. Quando il giorno dopo ci fu da fare il compito in classe, mi rifiutai, cosa molto strana per come ero io. La mia insegnate riuscì a farmi parlare e poi telefonò a casa per conferma, le dissi:” se dovevo morire perché studiare?”.

Santina a 15 anni

C’è molto da imparare quando non si vede un futuro.

Furono anni difficili fino ai 16, io continuavo a lavorare con la bocca, e alla fine del ‘65 arrivò una bella notizia, la VDMFK (associazione mondiale che sostiene pittori che dipingono con la bocca e/o con il piede, www.vdmfk.it)  cercava un pittore da lanciare nel mondo come il mio insegnate Bruno Carati, chiesero successivamente di mandare qualche mio lavoro ed io mandai una mia piastrella di ceramica, dove dipinsi un paesaggio invernale con la neve, quando finii svenni. La mia insegnante Sig.ra Toppino che era vicino a me, mi prese ad esempio con gli altri allievi per far capire che quando si vuole lavorare, si può.

Io volevo farcela a tutti i costi volevo vincere sulla mia disabilità e quindi ero soddisfatta quando raggiungevo dei traguardi. Per quella fine anno ricevetti una telefonata: era il presidente artistico italiano, dove mi informava che avrei ricevuto una borsa di studio dall’Associazione. In quel momento mi sono sentita come se non avessi la carrozzina o fossi diventata leggera come una nuvola.  Finalmente avevo le risposte a molti miei perché: perché ero nata, perché ero quell’errore da parto era successo proprio a me, cosa facevo a questo mondo e via così.

Non ero più inutile. Iniziai a lavorare, un verbo tabù per l’epoca, come molti altri.

Si impara molto dalla felicità…anche se momentanea.

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