Un Ministro dell’Istruzione e del Merito della nostra Repubblica dichiara che l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità e poi si corregge dicendo che è stato un lapsus, voleva dire ‘umiltà’.
Ora qualche lettore penserà che io voglia approfittare della situazione per buttarla in politica e levarmi qualche sassolino dalle scarpe: “ma che si deve sentire, ma dove siamo arrivati, ma chi mettono a capo di un ministero tanto importante” e così via. No, al contrario, voglio ringraziare il Ministro per avere portato in prima pagina, forse senza rendersene conto, il tema dell’umiliazione e dell’umiltà. Gli risparmio, in cambio, una più o meno dotta interpretazione del lapsus in cui, a suo dire, sarebbe incorso.
Il Ministro, come me e come tutti noi, avrà sperimentato almeno una volta nella vita quale sia lo stato d’animo di chi si sente umiliato. Non stiamo parlando, mi sembra ovvio, di quando siamo stati rimproverati per qualche reale o presunta mancanza se il rimprovero non si accompagnava all’umiliazione e alla mortificazione.
È il momento di un’occhiatina al dizionario della nostra lingua.
umiliazióne s. f. [dal lat. tardo humiliatio -onis]. – 1. L’atto di umiliare, il fatto di umiliarsi o di venire umiliato: infliggere, subire un’u.; assoggettarsi a una u.; vendicarsi dell’u. ricevuta; u. della carne, delle passioni, mortificazione. 2. a. Il fatto, la cosa che umilia: è stata per me una grave u. dover chiedere un prestito proprio a lui; ne ho sofferte di umiliazioni, in quella casa, o in quell’ufficio. b. ant. o raro. Atto di sottomissione pieno di umiltà e di ossequio: i vinti, per avere salva la vita, furono costretti a fare pubblica u. al vincitore.
mortificazióne s. f. [dal lat. tardo mortificatio –onis, der. di mortificare: v. mortificare]. – 1. a. ant. Stato d’insensibilità, simile a morte, di un organismo. b. In medicina, m. dei tessuti, condizione di alterazione morfologica e strutturale di tessuti sottoposti a una azione traumatica; zona di m., zona di alterazione tessutale (fino alla necrosi) che si rileva in corrispondenza di ferite contuse, lacero-contuse o da colpo d’arma da fuoco. c. Per estens., termine usato talvolta nell’arte culinaria per indicare la frollatura delle carni. 2. Nel linguaggio ascetico cristiano, sofferenza che l’uomo volontariamente s’impone per vincere le cattive inclinazioni conseguenti al peccato originale, soprattutto le concupiscenze degli occhi e della carne, o anche solo come pratica ascetica per promuovere il proprio perfezionamento morale e spirituale. 3. Nell’uso com., umiliazione dell’amor proprio: dare, ricevere, patire una m.; che m. per lui essere trattato così!; è per me una m. dovergli chiedere aiuto.
Lo strapotere di chi mi umilia mi annienta, non mi sprona, non mi incoraggia, mi spinge solo ad assoggettarmi o, qualora se ne presenti la possibilità, a scappare, a ribellarmi, a vendicarmi e perfino, nel peggiore degli esiti, a diventare io stesso un umiliatore. Vengo in soccorso al Ministro riformulando meglio il suo pensiero: l’umiliazione è un fattore fondamentale nell’impedire la crescita e la costruzione della personalità e di conseguenza va bandita dall’azione educativa.
Una bella e argomentata risposta all’affermazione del Ministro era arrivata il 22 novembre 2022 dalla Prof. Giulietta Stirati nel blog davvero istruttivo che cura per L’Espresso-Repubblica[1]. Riporto solo l’inizio ma vi invito a leggere l’intero articolo dal titolo Felix humus.
“Come la maggior parte -se non tutte- delle parole latine che hanno a che fare con la terra e i suoi frutti, anche humus, cioè terra, è femminile. Singolare che da questa stessa radice derivi una parola come homo, hominis, che, come è noto, indica sia l’essere umano maschile sia l’umanità in generale, in cui l’elemento femminile è sottinteso.
La radice di humus contiene in sé il cuore dell’umanità: la terra come luogo, come ambiente, come base su cui posare i passi e tracciare cammini; la terra come fonte primaria di vita, capace, se felix, cioè fertile, di nutrire le creature che la abitano. Humilis,e, che traduciamo con “umile” vuol dire innanzi tutto questo: che pertiene alla terra, che ha a che fare con la capacità di riconoscere la terra su cui poggio i piedi e di onorarla.
Insomma, è veramente una bellissima radice, così piena di senso. Da essa proviene anche il verbo “umiliare”, che dal dire un gesto chinare il capo verso la terra- è passato a dire la mortificazione, inflitta da altri o autoinflitta, pubblica o privata. In questo senso sembra che ne abbia fatto uso il ministro dell’Istruzione, affermando che l’umiliazione -la pubblica stigmatizzazione di chi è responsabile di atti di violenza nella scuola e il lavoro socialmente utile a mo’ di punizione- avrebbe un valore proprio nella sua pubblicità e costituirebbe, in quanto assunzione di responsabilità coram populo, il primo passo verso il riscatto.”
Restando in ambito scolastico, un brutto voto, una bocciatura, un provvedimento disciplinare sono umilianti solo quando si accompagnano a un giudizio che non si limita al semplice fatto sanzionato ma implicano un giudizio spietatamente e totalmente negativo sulle prospettive non solo scolastiche del reale o presunto responsabile. Sempre, nell’educazione, un rimprovero o una punizione dovrebbero essere seguite, non appena è possibile, da un dialogo tra chi punisce e chi è punito per evitare di entrare di nuovo in rotta di collisione o di superare i limiti del fatto con generalizzazioni indebite e, appunto, umilianti.
Ma per non umiliare bisogna essere umili, una qualità che è messa a dura prova ogni volta che ci attribuiscono un potere piccolo o grande che sia. Per rimanere in ambito educativo la pratica dell’umiltà e la lotta contro la tentazione di umiliare, inizia nel momento in cui siamo nominati capo-classe, poi insegnanti, poi presidi e poi, perché no?, Ministri dell’Istruzione.
Mi viene in mente una riflessione di Hans Magnus Enzensberger[2]:
“Ogni società umana sviluppa un proprio catalogo di virtù in cui elenca le caratteristiche che ritiene degne di essere perseguite […] ma la modernità non ha mai apprezzato in modo particolare qualità antiche e medioevali come la fedeltà, il coraggio, la saggezza, l’umiltà e la cavalleria”. Ma è il coraggio che garantisce tutte le altre virtù: non basta spendere parole di ammirazione per queste ed altre virtù se poi non si ha il coraggio di metterle in pratica, se non si ha il coraggio non soltanto di sostenere a testa alta le proprie convinzioni ma anche, quando è il caso, di saper tacere ed ascoltare (queste sono le parole che Winston Churchill andava ripetendo ai suoi connazionali invitandoli a resistere a terribili avversità, prima tra tutte l’aggressione nazista).”
Al contrario del coraggio che garantisce tutte le altre virtù, lo scoramento e l’avvilimento dovuti all’umiliazione rischiano di toglierci proprio questa garanzia e, nel peggiore dei casi, ci spingono ad adottare un catalogo di valori ben lontano da quello ricordato con nostalgia da Enzensberger e ad umiliare per illuderci di non sentirsi più umiliati.