Sette donne uccise in 10 giorni. Una mattanza! Ma, per favore, non parliamo di emergenza femminicidio, perché non è emergenziale questo massacro. Purtroppo è culturale e di sistema come lo è tutta la violenza, esplicita o camuffata che respiriamo continuamente. Vecchia quanto il mondo, è un fiume spaventoso di prevaricazioni e odio che la civiltà umana non ha ancora eliminato e nemmeno è riuscita a contenere nonostante le sue dichiarazioni d’intenti. Anzi la violenza si trasmette in una infinità di azioni e di codici verbali e non verbali a partire dai contesti familiari, dove l’educazione è misera e dove invece dell’attenzione e degli affetti che fanno crescere, ci sono soprusi, offese, umiliazioni.
Allora ci meraviglia la giornalista famosa che chiede “Ma questi uomini erano completamente fuori di testa?” o erano stati esasperati dalle donne uccise. Ti sconforti. Però ci pensi un attimo e ti viene il sospetto che questo interrogativo non sia casuale, ma rappresenti il pensiero nascosto e comune di molti, purtroppo anche di parecchie donne.
La cultura della violenza, non ha confini e si trasmette anche con questi dubbi e con l’idea che i maschi quando uccidono lo fanno perché provocati o colti da un raptus, che non esiste come quadro clinico. Sono invece uomini capaci di intendere e volere, come recitano i codici, mariti, compagni, amanti, familiari o vicini di casa, che hanno legami di affetto con le vittime e in grado di riconoscere la propria aggressività, ma non di gestirla.
Accade sempre così e non è emergenza il femminicidio, ma fenomeno strutturale, che affonda le radici nell’arcaica cultura del sopruso e della prepotenza di genere.
Non intendo giustificare nulla e nessuno, ma il rapporto tra maschile e femminile è così carico di tensioni viscerali in grado di mobilitare i fantasmi spaventosi dell’inconscio e una gamma infinita di angosce che se non elaborate diventano odio e sadismo.
Condizione arcaica, dunque, difficile da estirpare in quanto legata al potere, al bisogno di possesso e all’idea di superiorità. È problematico, e lo sarà anche in futuro, depotenziare la violenza dalle relazioni tra uomo e donna, fin tanto che l’aggressività non sarà regolata da una nuova coscienza, modulata da un’educazione dei maschi attenta al rispetto e alla tolleranza, soprattutto priva di giustificazioni per ogni azione offensiva.
È poi fuorviante dare la colpa alla pandemia perché nell’anno del Covid con la spiegazione che l’omicidio di 76 donne da parte dei loro uomini è in relazione con l’aumento della violenza domestica. Il lockdown ha solo fatto saltare il coperchio che nascondeva soprusi covati da anni.
Sono decenni che mi occupo di violenza, quella delle relazioni familiari e sui minori. Da un tempo lungo mi avvicino anche agli abusanti e non credo che i maschi violenti divengano tali per uno scompenso procurato dalla pandemia. Di sicuro c’è una relazione.
Ma sarebbe sconcertante non vedere che le atrocità dei femminicida sono il risultato di identità incerte e adultità fragili, non di menti malate o esasperate. E serve di più chiedersi perché si tratta di uomini incapaci di reggere le frustrazioni e di governare le pulsioni. Perché sono narcisisti con la necessità continua di essere ammirati e approvati, e come mai hanno costruito con le loro donne rapporti fusionali e totalizzanti, spacciando l’attaccamento per affetto. Ma anche perché sono cresciuti senza far attenzione ai sentimenti propri e dell’altro e incapaci di gestire gelosie e rabbie. Queste dovrebbero essere le prime domande da fare.