La giornata mondiale della poesia del 21 marzo celebra la parola come forma e sintesi del pensiero, ma soprattutto memoria capace di contenere e conservare le tracce dell’esistenza umana.
Perché la poesia è creazione, ovvero scrittura e gesto creativo che conserva la storia dell’essere uomini. Lo dice l’etimologia del termine che dal greco “poiesis” indica l’arte specifica del fare poesia cioè costruzione di un dialogo intimo e linguaggio interno che dà volto e significato a emozioni, sentimenti, stati d’animo.
“La causalità personale ha con l’opera d’arte la medesima relazione che ha il terreno con la pianta che gli cresce sopra” scriveva Carl Gustav Jung nel libro “Psicologia e poesia” (Bollati Boringhieri). Alludeva alla relazione tra la narrazione poetica e il terreno profondo della psiche su cui si sviluppa. Più le radici affondano nello spazio interno dell’anima e più la poesia può essere alta, luminosa e solare, diventare gesto verbale o vibrazione sonora anche minima e impercettibile, ma sempre sintesi estrema del pensiero o parola ermetica come scavata nella pietra.
Poesia e psiche in questo senso hanno la stessa natura, quella dei sogni e forse anche delle allucinazioni. Reciprocamente si attraversano e si incontrano quando l’individuo si avvicina a se stesso e all’universo che gli appartiene utilizzando, per narrarlo, i simboli, quelli universali che consentono di raccontare la storia personale e quella collettiva, il reale e il fantastico.
Allora la poesia diviene elevato gesto creativo che trasforma perché sostenuto dall’intuizione con la quale, a ben guardare, riusciamo a cogliere ciò che non si vede e non si sente e con cui possiamo scrutare l’anima e conoscerla senza il logos, al di là della coscienza.
La poesia come intuizione ci fa accedere al sapere senza le verifiche che la ragione pretende e ci permette di percepire l’essenza delle cose o gli elementi della realtà a prescindere dalla mediazione del pensiero. Soprattutto al di là e oltre il ragionamento. È allora ricerca di noi stessi attraverso le parole con cui poter accedere all’ignoto che ci appartiene. Perché le parole, dice il poeta René Char, «sanno di noi ciò che noi ignoriamo di loro».